Nostre osservazioni al PNIEC

Abbiamo partecipato alla consultazione pubblica sul nuovo PNIEC “Piano Nazionale Integrato Energie e Clima”. Contestiamo:

  • Sulle nostre osservazioni critiche alla metodologia utilizzata da GSE (consultazione con un questionario e non sul Piano, scadenza da 60 giorni ex. D.Lgs. 152/2006 a 3 settimane, carattere statistico risposte, opportunità delle domande, troppe domande “interessate” su certi ambiti tipo FER elettriche grandi impianti, trasporti, sicurezza energetica, non c’è mai la parola GNL o rigassificatori, invece ci sono le infrastrutture per H2 e metano….) faremo un documento pubblico nei prossimi giorni.

  • La consultazione non è fatta su un nuovo Piano, ma presenta domande e ambiti preselezionati, per cui non è conforme al D.LGS. 152/2006, che prevede due fasi di consultazione: quella preliminare sul Rapporto Preliminare Ambientale con durata 30 giorni, non 3 settimane, e quella pubblica con durata 60 giorni. Il set di domande a risposta multipla perciò, senza un Piano, non è in linea con la normativa europea che chiede agli stati membri  di “offrire la pubblico tempestive ed effettive opportunità di partecipare alla elaborazione del PNIEC”.

  • Siamo contrari alla promozione di grandi impianti e loro integrazione nelle dinamiche di mercato, che spesso sono soggette a speculazioni sui prezzi, specie tra PPA, a danno dei consumatori finali e spesso producono land grabbing e sono insostenibili a livello paesaggistico. FER vanno bene solo su suoli industriali, coperture ed edifici anche privati e possibilmente impianti distribuiti e non grandi impianti.

  • Siamo contrari alla promozione di grandi impianti e loro integrazione nelle dinamiche di mercato, che spesso sono soggette a speculazioni sui prezzi, specie tra PPA, a danno dei consumatori finali e spesso producono land grabbing e sono insostenibili a livello paesaggistico. FER vanno bene solo su suoli industriali, coperture ed edifici anche privati e possibilmente impianti distribuiti e non grandi impianti.

  • Sia gli impianti onshore che offshore non devono interferire con diversi paesaggi “tutelati” e particolari del territorio italiano, ma serve una mappa delle aree geografiche che possono essere usati per l’eolico.

  • La decarbonizzazione non deve essere “progressiva”, ma bisogna abbandonare prima possibile le fonti fossili nel mix energetico di produzione elettrica. Non bisogna assolutamente favorire la realizzazione di nuovi impianti di biomasse, che, una volta immesse nella rete gas e combuste, producono CO2 come le fonti fossili.

  • Non si tratta solo di velocizzare gli iter autorizzativi, ma di fissare dei limiti alla loro ubicazione: restringere i parametri di consumo del suolo, semplificare su aree industriali e coperture, favorire FER distribuite e fissare limiti paesaggistici ove ci sono vincoli.

  • Non c’è necessità di interventi su nuove infrastrutture a gas per supportare maggiore capacità: siamo contrari a qualsiasi combustibile che emette CO2 o metano nell’aria, come biomasse, biometano, idrogeno grigio ottenuto da metano.

  • Servono normative specifiche e monitoraggi per evitare emissioni di CO2 e metano e considerare le stesse alla stregua di emissioni nocive.

  • Per efficientare il settore pubblico ci sono le CER, comunità energetiche tra il pubblico e il privato, che hanno il doppio vantaggio di alimentare l’istituzione pubblica di energia rinnovabile e aiutare la povertà energetica delle famiglie, sfruttando le coperture degli edifici pubblici. I finanziamenti alle CER sono da estendere anche ai Comuni con più di 5000 abitanti.

  • Nei trasporti, per azzerare le emissioni climalteranti, bisogna puntare su TPL e mobilità elettrica.

  • La domanda prevede solo soluzioni low carbon: ma in tempi di cambiamenti climatici, non esistono soluzioni low carbon sostenibili, come e-fuel. Siamo contrari ai motori termici. Esiste già la mobilità elettrica: perché non c’è quella risposta alla domanda?

  • Per decarbonizzare il sistema e al contempo rafforzare la sicurezza energetica del paese servono solo investimenti nelle CER e nelle FER. Basta investimenti nei fossili come il gas che non decarbonizzano, ma riducono di poco le emissioni, che devono invece essere ridotte a zero.

  • La questione non è dipendere dalle fonti fossili estere visto che noi non ne abbiamo, ma di uscire da una politica di incentivazione del fossile come il metano o il GNL e diventare addirittura “hub del gas”. Bisogna uscire dal fossile con FER e CER.

  • Attenzione al paesaggio nella ubicazione delle FER: basta coprire le zone SIN, industriali e tutte le coperture senza causare ulteriore consumo di suolo.

  • Non si possono rafforzare i corridoi energetici del Mediterraneo, perché secondo il Green Deal europeo, dal 2030 saranno stranded assets e dovremmo impiegare denaro pubblico per onorare gli impegni presi con i contratti. L’Italia non deve diventare hub del gas dato che i consumi di gas sono in calo in tutta Europa. L’idrogeno poi non giustifica la costruzione di nuovi gasdotti, visto che può essere trasportato solo in mix del 10-15% col metano. Vuol dire avere pronta la Rete Adriatica SNAM nel 2028 e poi dover ridurre del 55% le emissioni di gas al 2030.

  • CCUS è una scusa per continuare a produrre emissioni di CO2 e poi nasconderla sotto il tappeto. Il fossile deve rimanere sotto terra. Ci sono tanti paesi europei, come la Danimarca che avranno emissioni zero già nel 2030. In Italia si vuole invece mantenere una produzione fossile per poi usare il CCUS, tecnologia non ancora matura, per eliminare le emissioni ulteriori.

  • Serve una regolamentazione statale derl mercato elettrico per evitare speculazioni sul prezzo come successo nel 2021-2022 col prezzo spot del gas, in cui le società oil&gas hanno fatto extraprofitti non tassati a spese delle famiglie e delle aziende, aumentando la povertà energetica del paese, che è uno degli SDG dell’ONU. E non deve capitare in uno stato democratico.

  • Bisogna implementare CER e comunità solari per combattere la povertà energetica e le possibili speculazioni di mercato su un mercato non regolato adeguatamente dallo Stato.

  • Non ci deve essere un “mercato libero dell’energia”: ne abbiamo visto gli effetti proprio negli ultimi 3 anni con aumenti di prezzi decuplicati. Il mercato tutelato garantisce alle fasce più deboli una certa garanzia contro la povertà energetica. Il mercato libero è una vergogna per i consumatori, esposti ai rischi del mercato. Chiediamo che sia prorogato il mercato tutelato.

  • Non si specifica il tipo di produzione di idrogeno nella domanda: se si tratta del più conveniente idrogeno grigio prodotto dal metano o il più costoso idrogeno verde da idrolizza tori. Perciò non si ritiene di dover rispondere a una domanda troppo generica.

  • Per la riduzione dei gas serra nell’industria, la finalità deve essere la riduzione delle emissioni di CO2 e anche di metano nelle industrie estrattive e infrastrutture energetiche: c’è una direttiva europea sulle methane leaks a cui lo stato italiano si deve ancora adeguare. Le emissioni fuggitive di metano sono 80 volte più climalteranti nel breve periodo rispetto alla CO2. Inoltre è indispensabile monitorare meglio tutte le emissioni nocive, anche di benzene, ed evitare di giustificare i superamenti fatti proprio da aziende a partecipazione statale come con l’ex ILVA di Taranto o con i molti petrolchimici ENI in diversi siti italiani.

  • Il Governo deve attuare finalmente la direttiva europea sullo stop alla vendita di contenitori e imballaggi di plastica monouso come le bottiglie di plastica. E l’ economia circolare non deve, col riciclo, giustificare l’uso eccessivo di imballaggi nei prodotti: meno imballaggi, meno plastica, e riciclo del residuo.

  • La consultazione si deve fare su un Piano, e non con un questionario preparato ad hoc con risposte già predisposte. Il set di domande a risposta multipla perciò, senza un Piano, non è in linea con la normativa europea che chiede agli stati membri  di “offrire la pubblico tempestive ed effettive opportunità di partecipare alla elaborazione del PNIEC”.

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