Osservazioni alla consultazione pubblica sulle Linee Guida per la Strategia nazionale sull’idrogeno

Presentazione di osservazioni relative A consultazione pubblica sulle Linee Guida per la Strategia nazionale sull’idrogeno, elaboratA dal Ministero dello Sviluppo Economico

I Sottoscritti

1) “Movimento No Tap/SNAM della Provincia di Brindisi “,

2) Redazione di “emergenzaclimatica.it” (www.emergenzaclimatica.it), rappresentante di interesse registrata presso la Commissione della Comunità Europea come Think tanks, research and academic institutions, Identification number in the register: 185226239147-02,

3) Forum Ambientalista Associazione di tutela ambientale riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art.13 della legge 349/86,

4) Rete “Legalità per il clima

in rappresentanza e sottoscrizione anche delle associazioni “Campagna Per il Clima, Fuori dal Fossile”, No Hub del Gas Abruzzo, Cobas Confederazione Comitati di Base, Comitato “I Discoli del Sinarca”, Comitato Zero PFAS Padova, Trivelle Zero Molise, Coordinamento No Gasdotto SNAM, Comitato No Compostaggio Erchie. Comitato ForestaForesta, Comitato No Devastazioni Territoriali, Trivelle Zero Marche, Falkatraz Onlus Falconara Marittima, No al Fossile Civitavecchia, Associazione Verdi Ambiente e Società Onlus, Coordinamento Popolo degli Ulivi, Terra Blu, Comitato Cittadini per l’Ambiente di Sulmona

premesso

 che i sottoscritti, personalmente e congiuntamente agiscono nel presente atto in conformità con la Costituzione e le leggi italiane ma anche in attuazione degli standard di tutela loro riconosciuti dai Trattati europei e internazionali (in particolare dagli artt. 3 n. 3 e 6 dell’UNFCCC), oltre che dalla Dichiarazione sul diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 53/144, 8 marzo 1999, e dalle Linee guida sulla Protezione dei Difensori dei Diritti Umani dell’OSCE, nello specifico riferimento alla tutela del diritto alla informazione ambientale e climatica (già riconosciuto dalla Convenzione di Aarhus e dai Reg. UE 1367/2006 e 347/2013) e all’accesso alle fonti a base di dichiarazioni e impegni pubblici resi da organi e rappresentati delle istituzioni, in nome del diritto all’informazione e del diritto umano al clima come riconosciuto da Convenzioni e Accordi internazionali, dall’Accordo di Parigi del 2015 e tematizzato nei contenuti da Agenzie e Istituzioni dell’ONU, in adempimento anche del Considerando n. 45 del Regolamento UE 2018/1999.

PRESENTANO E INVIANO LE PROPRIE OSSERVAZIONI SULLA

consultazione pubblica sulle Linee Guida per la Strategia nazionale sull’idrogeno, elaboratA dal Ministero dello Sviluppo Economico

Osservazioni preliminari:

Il 2021 è un momento eccezionale: l’industria fossile Oil&Gas è fortemente messa in discussione e come emergenza climatica siamo veramente al limite, secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, dopo 200 anni di immissioni di gas climalteranti, metano compreso.

Valgano alcuni riscontri scientifici da non ignorare:

Si parta dall’efficace sintesi offerta da Johan Rockström, uno degli scienziati più autorevoli sul tema, a capo della più importante rete mondiale di ricerca sui limiti di sostenibilità dell’azione umana sul pianeta (10 years to transform the future of humanity—or destabilize the Planet): abbiamo solo dieci anni per trasformare il futuro dell’umanità oppure consegnarlo a un sistema climatico e biofisico irrimediabilmente destabilizzato e destabilizzante, dove il superamento definitivo dei diversi “confini planetari”, i grandi equilibri interdipendenti che condizionano l’abitabilità della Terra, e dei “tipping point”, i “punti di non ritorno” di alcune funzioni ecosistemiche fondamentali per la stabilità della temperatura (come i ghiacciai), renderanno le condizioni di vita sempre peggiori e sempre più vulnerabili.

Il Segretario Generale dell’ONU ha esortato tutti gli Stati a dichiarare l’emergenza climatica  al pari di quanto fatto per l’emergenza pandemica, data la gravità della situazione.

Nella letteratura scientifica prevalgono le previsioni pessimistiche. Si parla di futuro proiettato su “temperature infernali” (Th. Westerhold Th. et al., An astronomically dated record of Earth’s climate and its predictability over the last 66 million years, in 369 Science, 6509, 2020, 1383-1387), di “tempesta perfetta” di problemi convergenti, derivanti dalle emergenze in corso (I. Capellan-Pérez et al., Medeas. A new modelling framework integrating global biophysical and socioeconomic constraints, in 13 Energy & Environmental Science, 3, 2020, 876-1017); di “punto di non ritorno planetario” (quindi di definitiva perdita di controllo della stabilità climatica ovunque) già al 2050 (J. Hansen et al. Ice melt, sea level rise and superstorms, in Atmospheric Chemistry and Physics, 16, 2016, 3761-3812); addirittura di “punto di non ritorno non governabile” senza azzerare immediatamente tutte le forme di emissione di gas serra e controllare il riscaldamento globale con ulteriori strumenti di stabilizzazione climatica (J. Randers et al., An earth system model shows self-sustained melting of permafrost even if all man-made GHG emissions stop in 2020, in 10 Scientific Reports, 2020, 18456).

«Climate change bigger threat than Covid» e «No vaccine for climate change»  sono le due implacabili formule utilizzate dall’ultimo Report (novembre 2020) della Federazione Internazionale delle società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (IFRC).

Contemporaneamente si è pure constatato (E. Elbecham et al., Global human-made mass exceeds all living biomass, in Nature, 9 december 2020) che, per la prima volta nella storia del pianeta Terra, i materiali artificiali creati dall’essere umano hanno superato l’intera massa vivente esistente, così raggiungendo il “punto di crossover”, ossia la prevalenza delle “cose” prive di vita sul mondo naturale. Il “peso” di strade, edifici, cose e materiali costruiti, fabbricati e scambiati nel “mercato umano” raddoppia all’incirca ogni 20 anni per un totale di 1,1 teratonnellate; viceversa, poiché l’umanità ha continuativamente incrementato il suo consumo insaziabile di risorse naturali, il “peso” della biomassa vivente – alberi, piante e animali, con le loro funzioni di equilibrio ecosistemico – si è definitivamente dimezzato fino a raggiungere attualmente solo 1 teratonnelata.

Siamo in un momento di gravissima e inedita emergenza, di fronte alla quale abbiamo il dovere – tutti – del coraggio e dell’onestà intellettuale.

OGGETTO DELLE OSSERVAZIONI

nello specifico:

1. Pur apprezzando lo sforzo del Governo di formulare la strategia nazionale sull’idrogeno da qui al 2050 con impegni intermedi al 2030, purtroppo queste linee guida nascono già anacronistiche:

  • Rispetto al PNIEC del 2019, in quanto esso non contiene una strategia nazionale a lungo termine su idrogeno nel mix energetico pianificato per il futuro dell’Italia e tale Piano non è più allineato alla strategia dell’energia europea dal 2020 al 2030 al 2050;
  • Rispetto alle ultime decisioni del Consiglio Europeo sul Just Transition Fund, dove non verranno più finanziati investimenti legati ai combustibili fossili, compreso il gas naturale, previsto invece dalla presente strategia per la produzione di idrogeno “compensato” con CCS;
  • Rispetto alla Strategia Europea dell’idrogeno di luglio 2020 a cui si ispira invece la strategia tedesca, che prevede misure molto più incisive e lungimiranti rispetto alla strategia europea.
  • Rispetto al Piano nazionale di Ripresa e Resilienza in discussione in questi giorni, che prevede 74.3 miliardi di euro di investimenti nella Green Economy, oltre agli investimenti finalizzati a conseguire obiettivi dell’European Green Deal,  e le priorità nell’ambito della transizione green, dell’area rivoluzione verde e della transizione ecologica  e della mobilità urbana sostenibile.
  • Rispetto  agli obiettivi ONU: entro il 31/12/2020 l’Italia deve comunicare all’ONU il piano per la riduzione del 55% delle emissioni.

In pratica nelle prossime settimane verranno decisi gli investimenti del PnRR, poi a gennaio 2021 uscirà questa Strategia Nazionale sull’idrogeno e solo a giugno 2021 verrà aggiornato il PNIEC, quando invece la sequenza temporale avrebbe dovuto essere esattamente all’inverso: prima il PNIEC, che decide il piano energetico nazionale, poi la conseguente strategia per l’idrogeno, e infine il PnRR per decidere dove e che cosa finanziare.

2. La strategia avrebbe potuto essere più coraggiosa e molto più incisiva, come quella tedesca, o almeno avrebbe potuto allinearsi alla strategia europea, e non al PNIEC del 2019, non più allineato alla strategia europea del 2020-2030-2050.

3. C’è una costante confusione nella Strategia tra idrogeno rinnovabile verde e idrogeno “compensato” blu: a p. 12 si annuncia che 700.000 tonnellate devono essere di H2 verde, ma più avanti si afferma che può essere di idrogeno blu… Secondo il documento, il Pacchetto Energia Pulita dell’UE di riferimento sarebbe quello del 2016, in cui si parla solo del -40% di riduzione delle emissioni: invece, l’UE ha già deciso la riduzioni delle emissioni al -55%: perciò molti calcoli e previsioni della strategia sono sicuramente sbagliati e da rivedere.

4. La EU Hydrogen Strategy raccomanda una “priority to develop renewable hydrogen” (a pag. 5), mentre nella presente strategia l’idrogeno rinnovabile o verde è solo accennato di sfuggita e col condizionale e solo come soluzione di lungo termine.

5. Gli obiettivi sono fissati al 2030 come medio termine e al 2050 come lungo termine, ma la Strategia Europea e quella tedesca prevedono uno step intermedio a breve termine con obiettivi già al 2024, che obbliga tutte le parti interessate a intraprendere misure di mitigazione climatica nell’immediato, come richiede anche l’ultima raccomandazione dell’IPCC per contenere l’emergenza climatica.

6. La presente strategia è centrata principalmente sulla necessità di produzione di idrogeno “compensato” derivante da metano con CCS come transizione verso l’idrogeno rinnovabile. Tuttavia,

  1. la produzione di idrogeno blu “compensato”, in assenza di impianti CCS, equivale, come emissioni, all’idrogeno grigio, ossia altamente climalterante;
  2. la produzione attuale di 500.000 tonnellate di idrogeno grigio per usi industriali non differisce molto dall’obiettivo di arrivare al 2030 alla produzione totale di 700.000 tonnellate di idrogeno compensato: quindi la strategia vorrebbe convertire l’attuale produzione di idrogeno inquinante in idrogeno compensato senza sapere o spiegare come. E quale sarebbe allora il target di nuova produzione di idrogeno nei prossimi 10 anni?
  3. L’uso di idrogeno compensato contrasta con il principio di decarbonizzazione, obiettivo primario della strategia e di tutte le decisioni nelle sedi europee ed è alla base di qualsiasi raccomandazione scientifica per contrastare concretamente il cambiamento climatico.
  4. La scissione molecolare dell’idrogeno dal metano CH4 libera equivalente quantità di CO2, mentre l’elettrolisi dall’acqua alimentata da fonti rinnovabili libera ossigeno. Perché allora concentrare la strategia sul metano per il breve e anche medio termine con l’idrogeno blu?
  5. Secondo uno studio della rivista Nature, gli impianti CCS sono antienergetici e non economici: c’è addirittura una  relazione contraria della Corte dei Conti europea (Relazione speciale n. 24/2018) sul finanziamento UE agli impianti CCS. CCS è una tecnologia sperimentale e non affidabile come fattibilità su cui si vuole basare una strategia nazionale a medio e lungo termine.
  6. La logistica dell’idrogeno compensato è priva di qualsiasi informazione sugli impatti climatici: come verrà trasportata la CO2 all’unico CCS in progetto a Ravenna? Via autotrasporto, treno, nave? E le emissioni risultanti da tale trasporto?

7.  Secondo la strategia, l’idrogeno dovrebbe coprire il 2% degli consumi finali di energia al 2030: allora il PNIEC del 2019 deve essere totalmente rivisto, anche in considerazione delle decisioni della Strategia UE sull’idrogeno.

8. I calcoli della strategia sono approssimati e i rapporti di consumo imprecisi: se la produzione di idrogeno per il 2030 è prevista per 700.000 tonnellate, l’idrogeno non potrà coprire il 2% dei consumi finali di energia, salvo che non si riducono i consumi attuali di almeno il 40%. L’analisi della domanda non considera il calo dei consumi del periodo di Covid-19, e si basa su consumi non più attuali del 2019.

9.  Non ci sono incentivi per promuovere l’industria di produzione di idrolizzatori e elettrolizzatori, settore industriale totalmente assente in Italia.

10. Sono previsti investimenti in reti di gas per il trasporto dell’idrogeno, reti non adeguate a trasportare idrogeno puro, ma solo in mix col metano (SNAM ha testato attualmente un mix del 5% di idrogeno).

11. Lo stoccaggio e la generazione elettrica da idrogeno vengono previsti solo per il 2050?

12. Non è prevista, come nel Piano per l’idrogeno tedesco, l’azzeramento della tassazione dell’idrogeno verde.

13. Non sono previsti, come nel Piano per l’idrogeno tedesco, investimenti alle Regioni e ai Comuni per impianti di distribuzione dell’idrogeno per incentivarne la domanda.

14. Non è prevista l’istituzione di un Green Label per prodotti fatti con idrogeno verde, per stimolare la domanda di idrogeno e produzioni fatte con energia green.

15. Non sono previste, se non marginalmente, incentivi alla costituzione di Hydrogen Valley e Comunità energetiche gestiti dagli enti locali e dai cittadini.

16. Nei 10 miliardi di investimenti in H2 mancano i finanziamenti per le fonti rinnovabili che dovrebbero alimentare la produzione di idrogeno verde.

17. Un miliardo di investimenti in R&S su idrogeno è troppo basso: sia per progettare idrolizzatori, ma anche per la ricerca sul CCS che dovrebbe “compensare” l’idrogeno blu.

18. L’idrogeno non è economico per gli usi domestici: meglio l’elettrico prodotto in modo distribuito con le comunità energetiche locali e fonti rinnovabili.

19. Manca il decentramento decisionale e il dialogo con le amministrazioni locali, Regioni, Province (che valutano gli impianti fotovoltaici) e Comuni (che devono salvaguardare salute e ambiente nei propri territori). Le decisioni e la ricaduta occupazionale devono essere locali e rispecchiare la vocazione specifica e le esigenze del territorio.

20. Manca qualsiasi riferimento al finanziamento della Formazione dei tecnici dell’idrogeno a livello di  scuole o università, e aziende. Praticamente la “ricaduta occupazionale”.

ULTERIORE OGGETTO DELLE OSSERVAZIONI

nello specifico IN TERMINI CLIMATICI E DI DECARBONIZZAZIONE NELL’USO DEL METANO PER LA PRODUZIONE DI IDROGENO:

1)  –   IL METODO DEL MISE, CHE ESCLUDE LE TEMATICHE DI NATURA AMBIENTALE NELLA STESURA DELLA STRATEGIA NAZIONALE SULL’IDROGENO CON L’USO DI METANO, È INCOSTITUZIONALE, PERCHé  IGNORA VOLUTAMENTE TUTTE LE FONTI SOVRANAZIONALI E INTERNAZIONLI CHE IMPONGONO L’APPROCCIO CONGIUNTO ED ECOSISTEMICO TRA ENERGIA E CLIMA, FONTI VINCOLANTI QUALSIASI AUTORITà INTERNA AGLI STATI, IN FORZA DELL’ART. 117 COMMA 1 DELLA COSTITUZIONE (DALL’ART. 3 N.3 DELL’UNFCCC AGLI ARTT. 4, 191, 192 E 194 TFUE AL REG. UE 1999/2018).

2) –  RIGETTO necessariO e obbligatorio DELLA STRATEGIA NAZIONALE SULL’IDROGENO PER DIFETTO DI VALUTAZIONE FINANZIARIA, IN QUANTO IN CONTRASTO CON LA DECISIONE DELLA BANCA EUROPEA DEGLI INVESTIMENTI DI NON FINANZIARE PIU’ INFRASTRUTTURE FOSSILI DAL 2021. IL DOCUMENTO INOLTRE NON CONSIDERA GLI EFFETTI DELLA CRISI COVID NELLE SUE ANALISI SUI CONSUMI ENERGETICI.

3) –  RIGETTO necessariO e obbligatorio DELLA STRATEGIA NAZIONALE SULL’IDROGENO PER DIFETTO DI APPROCCIO ECOSISTEMICO, IN QUANTO PROSPETTA UNA RICONVERSIONE DI IMPIANTI DI PRODUZIONE DI GAS COMPENSATO E IMPIANTI CCS IN TEMPI DI CROLLO DEL PREZZO DEL GAS METANO E GNL, CON POSSIBILI E PROBABILI SCENARI DI DOMANDA NON REALIZZABILI E CONSEGUENTI ESTERNALITÀ E TRANSAZIONI DEI COSTI SUI CITTADINI E TERRITORI, IN UN CONTESTO IN CUI LE INFRASTRUTTURE DI PRODUZIONE DI IDROGENO COMPENSATO POTREBBERO DIVENTARE “STRANDED” E CONTRIBUIRE ESSE STESSE A RENDERE MENO COMPETITIVO L’IDROGENO E, QUINDI, A INCIDERE NEGATIVAMENTE SULLA SUA DOMANDA.

4) –  RIGETTO necessariO e obbligatorio DELLA STRATEGIA NAZIONALE SULL’IDROGENO NELLA CONFIGURAZIONE DI PRODUZIONE DI IDROGENO DA METANO COMPENSATO per carenza assoluta di istruttoria rispetto agli ONERI E obblighi derivanti da attività RICONDUCIBILE ALLA FATTISPECIE ex ART. 2050 Cod. civ. in Contesto di “minaccia” climatica e triplice emergenza ecosistemica, climAtica e fossile. IL DOCUMENTO SI BASA SULLA OPERABILITA’ DI IMPIANTI CARBON CAPTURE AND STORAGE ANCORA SPERIMENTALI E TROPPO COSTOSI

5) –   ILLEGITTIMITà COSTITUZIONALE DELLA STRATEGIA NAZIONALE SULL’IDROGENO CON L’USO DI METANO PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 2, 32, 41.2 E 44.1 COST. NONCHé DELLA L. 65/1994, IN FORZA DELL’ART. 117.1 COST. E DELL’ART. 3-bis  D. lgs. 152/2006 (d’ora in poi Cod. amb.) E DEL CRITERIO “IN DUBIO PRO CLIMA..

6) – ILLEGITTIMITà DELLA STRATEGIA NAZIONALE SULL’IDROGENO CON L’USO DI METANO PER ILLOGICITà MANIFESTA ED ERRORE MANIFESTO DI VALUTAZIONE DEI FATTI DI “MINACCIA” E TRIPLICE EMERGENZA, RESA ANCORA PIU’ URGENTE DAGLI EFFETTI DELLA CRISI COVID NELLE SUE ANALISI.

7) – OBBLIGO COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE DI “OPZIONE ZERO” PER LA POCA CONSIDERAZIONE DI ALTERNATIVE “MIGLIORABILI” DELLA STRATEGIA NAZIONALE SULL’IDROGENO NELLA PARTE IN CUI SI PREVEDE L’USO DI METANO ANCHE SOLO A BREVE E MEDIO TERMINE, SECONDO LA MIGLIORE SCIENZA DISPONIBILE.

SVOLGIMENTO DELLE OSSERVAZIONI   ABSTRACT DELLE OSSERVAZIONI Il Movimento NoTap/SNAM della Provincia di Brindisi, insieme alla rete “Legalità per il clima”, alla redazione di “emergenzaclimatica.it”, all’associazione Forum ambientalista, e alle altre associazioni in firma in calce chiedono la revisione completa della Strategia Nazione sull’Idrogeno per  “incompatibilità climatica” nella parte in cui prevede l’uso del metano per l’estrazione dell’idrogeno, nonché chiedono che tutta la strategia sia basata su incentivazione e finanziamento dell’idrogeno rinnovabile, e di seguire, anzi, implementare in modo più incisivo il Piano Europeo per l’Idrogeno, come fatto da altre nazioni, come la Germania. Altresì si contesta il metodo del MISE di non considerare l’obiettivo 7 di “Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni” dell’Agenda ONU 2030 in modo adeguato. Inoltre, ribadendo tutti i punti sopra scanditi come “oggetto delle osservazioni”, giova ricordare che qualsiasi nuovo investimento fossile deve essere analizzato e valutato, per obbligo di buona fede impresso dall’art. 3 n. 3 dell’UNFCCC, vincolante in Italia in base all’art. 117 n. 1 Cost., alle seguenti situazioni di fatto, non contestabili e non contestate neppure dal MISE:  a) esistenza di un contesto di “minaccia urgente” e “potenzialmente irreversibile”, riconosciuta e dichiarata dagli Stati, compresa l’Italia, con la Decisione n. 1/CP21-2015 dell’UNFCCC[1]; b) esistenza, denunciata dalla migliore scienza disponibile e formalizzata dalle dichiarazioni del Parlamento europeo della triplice emergenza planetaria in atto (ecosistemica[2], connessa al deficit ecologico della Terra alimentato da estrazione e consumo di risorse fossili[3], climatica, connessa alla instabilità del sistema climatico sempre a causa di estrazione e consumo di risorse fossili[4], fossile, dovuta all’aumento già a breve termine del “Global Potential Warming”[5] di tutte le risorse fossili); c) obbligo dello Stato e degli operatori economici di rispettare in buona fede le acquisizioni della scienza per vincolo contratto dall’Italia con l’UNFCCC e di ricorrere al principio “in dubio pro clima”, derivante dalla lex specialis dell’art. 3 n. 3 sempre dell’UNFCCC, riconosciuto da autorevole opinio iuris internazionale e dall’IBA[6], e fondato, in Italia, anche sul dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e sui vincoli di cui agli artt. 32, 41.2 e 44.1 Cost., in nome dei diritti della presente e delle future generazioni. d) obbligo dello Stato e degli operatori economici di rispettare in buona fede i diritti fondamentali e umani delle persone, minacciati e compromessi dai cambiamenti climatici e dal “Global Potential Warming” delle risorse fossili, come riconosciuto dal Joint Statement on human rights and climate change dell’ONU e per ossequio al principio del neminem laedere, dalla Corte costituzionale italiana eretto a fondamento dello Stato costituzionale di diritto (Sent. n. 16/1992, punto. 3 in diritto).             1. LA STRATEGIA AL 2050 E’ GIA’ OGGI ANACRONISTICA.   La Strategia sull’idrogeno al 2050 del MISE di consultazione pubblica, che esclude le tematiche di natura ambientale nella consultazione secondo le ultime Decisioni UE, è già anacronistica oggi: rispetto al PNIEC del 2019, che non contiene una strategia nazionale a lungo termine su idrogeno nel mix energetico pianificato per il futuro dell’Italia e tale Piano non è più allineato alla strategia dell’energia europea del 2020;rispetto alle ultime decisioni del Consiglio Europeo sul Just Transition Fund, dove non verranno più finanziate investimenti legati ai combustibili fossili, compreso il gas naturale, previsto invece dalla presente strategia per la produzione di idrogeno “compensato” con CCS;rispetto alla Strategia Europea dell’idrogeno di luglio 2020 a cui si ispira invece la strategia tedesca, che prevede misure molto più incisive e lungimiranti rispetto alla strategia europea.rispetto al Piano nazionale di Ripresa e Resilienza in discussione in questi giorni, che prevede74.3 miliardi di euro di investimenti nella Green Economy, oltre agli investimenti finalizzati a conseguire obiettivi dell’European Green Deal,  e le priorità nell’ambito della transizione green, dell’area rivoluzione verde e della transizione ecologica  e mobilità urbana sostenibile;rispetto  agli obiettivi ONU: entro il 31/12/2020 l’Italia deve comunicare all’ONU il piano per la riduzione del 55% delle emissioni.   Praticamente nelle prossime settimane verranno decisi gli investimenti del PnRR, poi a gennaio 2020 uscirà questa Strategia Nazionale sull’idrogeno e solo a giugno 2021 verrà aggiornato il PNIEC, quando invece la sequenza temporale avrebbe dovuta essere esattamente l’inverso: prima il PNIEC che decide il piano energia nazionale, poi la conseguente strategia per l’idrogeno, e poi col PnRR si decide dove e cosa finanziare. In questa consultazione, infatti, i cittadini sono invitati solo a esprimere la loro opinione su 2 alternative, già preimpostate, idrogeno blu o verde, come se il contesto di riferimento fosse “in vitro”, “normale” non coinvolto dall’emergenza climatica e dalle politiche di lotta al cambiamento climatico e all’abbandono del fossile, imposte da precisi e incontrovertibili vincoli internazionali, sovranazionali e nazionali. In questo quadro, come più volte ribadito, la Strategia è del tutto lacunosa, perché basata su un’analisi costi/benefici – precedente l’emergenza pandemica COVID-19, dunque anacronistica come dati di partenza; – ignara dei vincoli climatici di qualsiasi politica energetica (valga per tutti il richiamo al Reg. UE 1999/2018, tra l’altro in revisione, come noto, nella prospettiva dei nuovi ambiziosi obiettivi euro-unitari di abbattimento delle emissioni almeno del 55%; – ignara del metodo imposto dall’art. 3 n.3 dell’UNFCCC, vincolante tutti gli operatori italiani in forza dell’art. 117 n. 1 Cost. – ignara che il PNIEC prevedeva un mix con più del 70% di energia prodotta in via transitoria col metano mentre l’Europa ci impone vincoli precisi e una precisa strategia europea sull’idrogeno, che punta all’idrogeno rinnovabile. Non possiamo accettare una strategia trentennale che non è adeguata neanche all’anno di formulazione della strategia.   Il risultato è la totale illogicità dell’intera strategia. L’Italia è vissuta finora senza l’uso di idrogeno come combustibile energetico, sicché non si capisce perché, contro ogni politica UE di lotta ai cambiamenti climatici (tra l’altro, obietti 13 SGD ONU al 2030, riconosciuto e perseguito dallo stesso Governo Italiano), dovrebbe finanziare la produzione di idrogeno da metano, invece che innovarsi e produrre idrogeno da idrolisi dell’acqua alimentata da energia rinnovabile, in tempi di – abbandono del fossile, – crollo della domanda di metano e GNL, -emergenza climatica, dichiarata internazionalmente “minaccia urgente potenzialmente irreversibile”, – fondi europei di “Just Transition” destinati alle opportunità del Green New Deal su proiezione di 40 anni, con l’esclusione delle fonti fossili, – necessità di realizzare l’obiettivo n. 7 dei SDGs ONU al 2030 (Affordable and Clear Energy), che prevede l’accesso democratico all’energia, oltre che gli obiettivi 8 e 13, – dovere, ai sensi dell’art. 41 Cost., di scongiurare eventualità di “stranded assets”, in cui lo Stato, dopo aver finanziato un investimento anacronistico e in via di abbandono, si dovrà accollare anche le perdite delle società private coinvolte con i soldi dei cittadini. Non sembra superfluo ricordare, data la palese illogicità riscontrata, che – proprio il PNIEC, più volte citato dalla Strategia, richiede valutazioni integrate – sempre il PNIEC è stato ufficialmente dichiarato dal Governo italiano, con effetti giuridici rilevanti nei termini della Convenzione di Aarhus, inadeguato rispetto ai nuovi obiettivi euro-unitari di riduzione delle emissioni almeno del 55%.   2. UNA STRATEGIA PIU’ INCISIVA IN TERMINI DI “European Green New Deal“.   La Commissione europea, nelle Linee guida per l’ “European Green New Deal”, ha deciso che, al 2022, saranno finanziate solo infrastrutture in essere di gas e oil per la transizione dal carbone, senza nessuna nuova opera (https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/P-9-2020-003915-ASW_EN.html). Non a caso, la UE ha anche avviato, come noto, la “Strategia europea di riduzione del metano” e “La strategia europea dell’idrogeno” che richiede, come la strategia tedesca, o un allineamento alla strategia europea, e non al PNIEC del 2019, non più in linea con la strategia europea del 2020 .   La Strategia in oggetto, aggiornata solo alle Decisoni UE del 2016 e al PNIEC italiano del 2019,  in epoca pre-Covid, sembra redatto per un contesto non europeo. Esso semplicemente premette lo scenario di abbandono del fossile e le prospettive “carbon free” imposte dall’emergenza climatica, ma poi non lo persegue nelle strategie..   La strategia sull’idrogeno della Germania (Piano NOW), e ormai approvata diversi mesi fa, poteva essere d’esempio e di stimolo per la redazione della strategia italiana del MISE: prevede scelte incisive e forse azzardate, come l’azzeramento della tassazione dell’idrogeno verde, incentivi alla produzione di elettrolizzatori, investimenti ai Laender o Regioni per la distribuzione al consumo dell’idrogeno, l’istituzione di un Green Label per i prodotti fatti con Hidrogeno verde, e tanto altro. Noi in Italia invece, ci rifacciamo al PNIEC con il 70% di produzione energetica fossile al 2030…   I risultati previsti della decarbonizzazione, grazie all’impiego dell’idrogeno, sarebbero molto modesti: fino a – 8 milioni di tonnellate CO2 al 2030. In pratica, se spegniamo la centrale a carbone di TVN Civitavecchia raggiungiamo l’obiettivo senza tanti problemi, anzi risolvendone di più.   3. IDROGENO RINNOVABILE O COMPENSATO ?   C’è confusione tra idrogeno rinnovabile verde e idrogeno “compensato” blu: a p. 12 si annuncia che 700.000 tonnellate devono essere di H2 verde, ma più avanti si afferma che può essere di idrogeno blu… Secondo il documento, il Pacchetto Energia Pulita dell’UE considerato è del 2016, in cui si parla solo del 40% di riduzione delle emissioni: invece l’UE ha già deciso la riduzioni delle emissioni al 55%: perciò molti calcoli e previsioni della strategia sono sicuramente sbagliati e da rivedere.   La strategia ignora anche il fatto che “The EIB will end financing for fossil fuel energy projects from the end of 2021”. The new energy lending policy details five principles that will govern future EIB engagement in the energy sector: prioritising energy efficiency with a view to supporting the new EU target under the EU Energy Efficiency Directive enabling energy decarbonisation through increased support for low or zero carbon technology, aiming to meet a 32% renewable energy share throughout the EU by 2030 increasing financing for decentralised energy production, innovative energy storage and e-mobility ensuring grid investment essential for new, intermittent energy sources like wind and solar as well as strengthening cross-border interconnections (cfr https://www.eib.org/en/press/all/2019-313-eu-bank-launches-ambitious-new-climate-strategy-and-energy-lending-policy)   4. “Priority to DEVELOP RENEWABLE HYDROGEN”   La EU Hydrogen Strategy raccomanda una “priority to develop renewable hydrogen” (a pag. 5), mentre nella presente strategia l’idrogeno rinnovabile o verde è solo accennato di sfuggita e col condizionale e solo come soluzione di lungo termine. Come dichiarato da Andreas Feicht, segretario di stato per l’energia del Ministero federale tedesco per gli affari economici e l’energia.: “L’idrogeno verde è l’unica soluzione sostenibile a lungo termine. Altre opzioni come il blu e il turchese non giocheranno un ruolo nei mercati tedesco e dell’Ue, perchè devono essere neutrali ai gas serra e le emissioni metano sono pericolose come le fughe metano con le reiniezioni”. Investire oggi in impianti di elettrolisi dell’idrogeno dal metano usando energia fossile si configura già come prospettico e imminente “Stranded Asset”. Per non parlare degli investimenti negli impianti CCS, costosi e potenzialmente dannosi per i rischi di induzione a terremoti e in zone, come Ravenna, ad alto rischio sismico. Se a questo sommiamo sempre la incomprensibile “amnesia” del MISE sugli impatti e le prospettive conseguenti all’emergenza pandemica Covid-19, che comunque ha destabilizzato irreversibilmente il settore della domanda e offerta di prodotti oil & gas, qualsiasi progetto di finanziamento di produzione di idrogeno dal gas,, anche nella più elementare delle sue applicazioni, apparirebbe comunque fuorviante e lacunosa nel non prendere seriamente in considerazione il tema degli “Stranded Asset”.     5. MANCANO GLI OBIETTIVI A BREVE TERMINE AL 2024:   Gli obiettivi della Strategia Nazionale sono fissati al 2030 come medio termine e al 2050 come lungo termine, ma invece la Strategia Europea e quella tedesca prevedono uno step intermedio a breve termine con obiettivi già al 2024, che obbliga tutte le parti interessate a intraprendere delle misure già nell’immediato, come richiede anche l’ultima raccomandazione dell’IPCC per contenere l’emergenza climatica. Si rischia di rimandare gli obiettivi europei al 2030 senza intraprendere nessuna misura o azione di risuzione delle emissioni prima, perpetuando investimenti e ulteriori opere costose, dannose e inutili come nuovi gasdotti in arrivo (Poseidon) o giustificando nuovi gasdotti come il completamento della Rete Adriatica SNAM con il PRT di Sulmona, i nuovi megagasdotti da 48 pollici tra Sulmona e Foligno e tra Foligno e Sestino o tra Brindisi e Massafra. Giustificando che il completamento della rete di gasdotti è necessaria per miscelare l’ idrogeno col gas metano o addirittura trasportare l’idrogeno nella rete gasdotti di SNAM, quando l’unica sperimentazione è stata effettuata da SNAM su un tratto di 5 KM in Lombardia con una miscela di idrogeno al 5% nel metano ? La strategia sembra essere molto motivata dalle buone intenzioni, mai provate e solo in fase sperimentale. Basiamo il nostro futuro energetico su sperimentazioni e congetture o su basi scientifiche e standard comprovati e riconosciuti?   6. LA TRANSIZIONE CON L’IDROGENO BLU COMPENSATO DA CCS   La presente strategia è centrata principalmente sulla necessità di produzione di idrogeno “compensato” derivante da metano con CCS come transizione verso l’idrogeno rinnovabile. Tuttavia: a.         La produzione di idrogeno blu “compensato” in assenza di impianti CCS equivale come emissioni all’idrogeno grigio, perciò altamente climalterante. Non ci sono ancora impianti CCS in funzione e l’unica implementazione in Italia, a Ravenna, è molto contestata da ambientalisti ed altre associazioni come Fridays for Future Italia. b.         Attualmente la produzione italiana di idrogeno grigio per usi industriali (SMRs) è di 500.000 tonnellate, come riportato dalla Strategia, e l’obiettivo è di arrivare al 2030 alla produzione totale di 700.000 tonnellate di idrogeno compensato: quindi la strategia vorrebbe convertire l’attuale produzione di idrogeno inquinante in idrogeno compensato: e quale sarebbe allora il target di nuova produzione aggiuntiva di idrogeno nei prossimi 10 anni, solo 200.000 tonnellate? E come si arriva allora al 2% di idrogeno nella domanda totale di energia per il 2030? c.         L’uso di idrogeno compensato contrasta con il principio di decarbonizzazione, obiettivo primario della strategia e di tutte le decisioni nelle sedi europee. L’idrogeno rinnovabile infatti dovrebbe innanzitutto contribuire a decarbonizzare alcuni dei settori a più elevate emissioni di CO2 – come l’industria chimica, la produzione di acciaio e la navigazione, ma dovrebbe  anche servire alla la generazione elettrica e così i target di produzione previsti dalla Strategia per il 2030 non sembrano sufficienti alla realizzazione di tale obiettivo, dato che la Strategia, per decarbonizzare tali settori,sostituisce combustibili fossili con altri combustibili fossili, come il metano. A inizio dicembre 2020 è nata una coalizione globale per sviluppare idrogeno verde: sette grandi aziende del settore – Acwa Power, Cwp Renewables, Envision, Iberdrola, Ørsted, Snam e Yara – hanno annunciato l’avvio di una nuova alleanza per accelerare la scala e la produzione di idrogeno verde di circa 50 volte nei prossimi sei anni e contribuire a decarbonizzare alcuni dei settori a più elevate emissioni di CO2 – la generazione elettrica, l’industria chimica, la produzione di acciaio e la navigazione. d.         La scissione molecolare dell’idrogeno dal metano CH4 libera l’equivalente quantità di CO2, mentre l’elettrolisi dall’acqua alimentata da fonti rinnovabili libera ossigeno. Perché allora concentrare la strategia dell’idrogeno sul metano per il breve e anche medio termine invece di puntare da subito sulle Hydrogen Valleys e la produzione di idrogeno rinnovabile, come fa il Piano sull’Idrogeno tedesco? e.         Secondo uno studio della rivista Nature, gli impianti CCS sono antienergetici e non economici: c’è addirittura una  relazione contraria della Corte dei Conti europea sul finanziamento UE agli impianti CCS. Infatti, secondo la  Relazione speciale n. 24/2018 della Corte dei Conti Europea[7] “Dimostrazione delle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio e delle fonti rinnovabili innovative su scala commerciale nell’UE: i progressi attesi non sono stati realizzati negli ultimi dieci anni”. E prosegue: «L’azione dell’Ue per sostenere progetti di cattura e stoccaggio del carbonio e le fonti di energia rinnovabili innovative non ha avuto esito positivo». Il costo stimato di stoccaggio della CO2 nei CSS è di 100-200€ per tonnellata di CO2: è un costo che attualmente mette la tecnologia CSS fuori mercato per la produzione di idrogeno da metano: i 12 impianti CCS proposti alla UE negli anni scorsi per 3.9 miliardi di euro sono stati bocciati dalla Corte UE. In Italia Eni intende chiedere 12 miliardi dai fondi del NextGenerationEU destinati alla transizione ecologica per il progetto CSS che vuole fare sorgere sulla costa ravennate. CSS è una tecnologia sperimentale e ancora non affidabile come fattibilità, e basare tutta la strategia nazionale a medio e lungo termine su questa tecnologia è alquanto azzardato e rischioso. f.          La logistica dell’idrogeno compensato: come verrà trasportata la CO2 all’unico CCS in progetto a Ravenna, via autotrasporto, treno, nave? E le emissioni risultanti da tali trasporti? O saranno forse i 4000 “camion a lungo raggio a celle combustibili” previsti dalla Strategia a effettuare tale trasporto?   Sembra una strategia assurda quella prospettata, che impiega energia elettrica prodotta da combustibili fossili (attualmente il 70%, secondo il PNIEC 2019) per alimentare elettrolizzatori che scindono il metano (combustibile fossile) in idrogeno e CO2 (gas climalterante), CO2 che verrebbe poi trasportata (producendo ulteriore CO2) e compensata nell’impianto CCS di Ravenna, non eliminandola, ma “nascondendola” sotto al mare… E la decarbonizzazione tanto agognata nel Documento?   7. L’IDROGENO DOVRA’ COPRIRE IL 2% DEI CONSUMI FINALI DI ENERGIA   Secondo la strategia, l’idrogeno dovrebbe coprire il 2% degli consumi finali di energia al 2030: allora il PNIEC del 2019 deve essere totalmente rivisto e aggiornato anche in base alla Strategia UE sull’idrogeno, in quanto prevede ancora oltre il 70% della generazione elettrica da fonti fossili (anche se low carbon) e non prevede obiettivi sull’uso dell’idrogeno, se non marginalmente e con una visione solo a lungo termine, basando tutto il Piano sul Pacchetto Energia Pulita del 2016 che prevedeva una riduzione delle emissioni solo del 40% rispetto al 1990 e non al 55%, come deciso dal Consiglio Europeo il 9 dicembre 2020. Inoltre per arrivare al 2% dei consumi finali, la Strategia propone incentivi insufficienti per stimolare tale domanda: in Italia esiste attualmente per l’automotive un unico impianto di distribuzione di idrogeno a Bolzano da 10 anni, e non ne vengono realizzati altri perché non ci sono autovetture a idrogeno, e non vengono prodotte autovetture a idrogeno dalle industrie automobilistiche perché non ci sono stazioni di rifornimento: la Strategia dovrebbe trovare una soluzione incisiva per uscire da questa empasse. Invece la strategia cita, sempre usando il condizionale, “L’autostrada A 22 Modena Brennero potrebbe essere per esempio uno dei possibili punti di partenza per l’installazione di stazioni di rifornimento” e solo per i camion a celle, non per le automobili. E “nei prossimi dieci anni i treni a celle a combustibile potranno diventare competitivi”, mentre in Germania sono presenti e di linea molti treni a idrogeno già da anni. E nel settore civile, come specificato più avanti, le applicazioni per il riscaldamento residenziale e commerciale non sono attualmente convenienti rispetto all’elettrico, magari prodotto localmente da impianto fotovoltaico, per cui sono previsti addirittura bonus energia e superbonus del 110%. Perciò non si capisce dalla Strategia come arrivare al 2030 con i 2% dei consumi finali con l’uso dell’idrogeno.     8. CALCOLI E RAPPORTI IMPRECISI E APPROSSIMATIVI   I calcoli della strategia sono approssimati e i rapporti di consumo imprecisi: se la produzione di idrogeno per il 2030 è prevista per 700.000 tonnellate, l’idrogeno non potrà coprire il 2% dei consumi finali di energia: bisognerebbe ridurre  i consumi attuali di energia di almeno un 40% affinchè il rapporto produzione di idrogeno / consumi totali sia esatto. L’analisi della domanda finale, nella Strategia, non considera il calo dei consumi del periodo di Covid-19, ma si basa invece sui consumi del 2019, sicuramente diversi dai consumi attuali.   9. MANCANO GLI INCENTIVI per promuovere la produzione di idrolizzatori   Non ci sono incentivi per promuovere l’industria di produzione di idrolizzatori e elettrolizzatori, settore totalmente assente in Italia. La strategia europea sull’idrogeno fissa un obiettivo per una capacità di elettrolizzatore installata di 6 GW entro il 2024 e 2×40 GW entro il 2030 (40 GW in Europa e 40 GW nei paesi vicini) producendo rispettivamente 1 e 10 milioni di tonnellate di idrogeno all’anno (secondo l’ente energetico francese EDF). Diverse strategie sull’idrogeno degli Stati membri europei hanno anche quantificato gli obiettivi per gli elettrolizzatori in base alle loro strategie nazionali sull’idrogeno che guardano all’orizzonte 2030, ad esempio 6,5 GW in Francia, 5 GW in Germania. In Germania ci sono i prodotti Silyzer 300 di Siemens, un innovativo sistema di elettrolisi PEM che utilizza l’energia eolica e solare per produrre idrogeno ed è totalmente privo di CO2. Air Liquide ha iniziato a produrre idrogeno verde dal suo elettrolizzatore a membrana a scambio protonico (PEM), il più potente al mondo, installato presso il suo sito di Bécancour (Canada). Questa tecnologia è particolarmente adatta alla produzione di idrogeno da elettricità rinnovabile. L’elettrolizzatore dovrebbe consentire di raggiungere 8,5 tonnellate di idrogeno verde al giorno (le normali stazioni oggi possono produrre ciascuna 200 kg al giorno).   Tali  incentivi alla produzione di elettrolizzatori in un paese come l’Italia , da sempre all’avanguardia nel settore meccanico, che è invece in crisi in molti territori, potrebbero risolvere tante vertenze aperte in industrie in crisi, come la conversione della Whirlpool di Napoli, di Embraco di Torino e Belluno, tutto l’indotto di Leonardo in crisi a Brindisi…. E si potrebbe così avere una forte ricaduta in termini occupazionali.     10. INUTILITA’ DEI previsti investimenti in reti di gas per il trasporto dell’idrogeno   Sono previsti investimenti in reti di gas per il trasporto dell’idrogeno, reti non adeguate a trasportare idrogeno puro, ma solo in mix col metano (SNAM ha testato attualmente un mix del 5% di idrogeno). La Strategia invece prevede di miscelare l’idrogeno fino al 2% col gas metano entro il 2030.  In questo modo si continua a investire in nuove infrastrutture del gas, come la Rete Adriatica SNAM e nuovi gasdotti come il Matagiola-Massafra o Poseidon in arrivo a Otranto, mentre il Just Transition Fund non prevede ulteriori investimenti in infrastrutture per il fossile, e le nuove linee guida TEN-E hanno escluso dal 2022 il finanziamento di nuove infrastrutture del gas da parte di BEI e BERS nei Projects of Common Interest.     11. STOCCAGGIO e generazione elettrica da idrogeno vengono previste solo per il 2050?   Lo stoccaggio e la generazione elettrica da idrogeno vengono previste nel Documento solo per il 2050. Perciò la vera strategia sembra essere una lentissima transizione a lungo termine per incentivare la domanda di idrogeno: ma di questo passo l’Italia non arriverà mai all’obiettivo della “carbon neutrality”. La strategia avrebbe dovuta essere più mirata a obiettivi del breve termine (sono assenti gli obiettivi al 2024) e del medio termine (2030). Invece il MISE cerca di giustificare la politica costosa e inutile del “capacity market”, che finanzia e mantiene in funzione ancora vetusti  impianti fossili altamente inquinanti che dovrebbero garantire la sicurezza nella produzione energetica, affiancando le fonti rinnovabili, e stabilizzando la rete. Tutti scopi che si potrebbero invece conseguire da subito in modo green con lo stoccaggio e la generazione elettrica da idrogeno, senza aggravi di costo per lo Stato e inutili incentivi alle fonti fossili altamente inquinanti.   12.NON E’ PREVISTO l’azzeramento della tassazione dell’idrogeno verde.   Non è prevista, come nel Piano per l’idrogeno tedesco, l’azzeramento della tassazione dell’idrogeno verde. Nei diversi modelli di produzione di H2 verde presentati, l’unico modello che garantisce prezzi bassi è la produzione totalmente in loco (vedi Hydrogen Valley), mentre la produzione con elettrolizzatori centralizzati o decentralizzati devono approviggionarsi di energia dalla rete elettrica, dove il costo dell’alta tassazione incide per circa l’80% sul prezzo dell’idrogeno verde. Detassare l’energia per la produzione di idrogeno verde, renderebbe l’idrogeno rinnovabile conveniente come l’idrogeno blu. Inoltre bisogna sottolineare ancora una volta che  non è mai stato costruito al mondo alcun sistema SMR + CCS. I costi per H2 blu basati su un prezzo del gas naturale di 15 euro / MWh sono stati stimati da Foster-Wheeler nella sua relazione tecnica (per l’AIE) intorno a 2 euro / kg.  Iberdrola, azienda spagnola,  sta  creando un sistema fotovoltaico con  elettrolizzatore in Spagna, il cui costo dell’ H2 verde sarà di circa 1,6 Euro / kg. Produrre H2 verde a prezzi convenienti è possibile.   13. NON SONO PREVISTI impianti di distribuzione dell’idrogeno per incentivarne la domanda.   Non sono previsti, come nel Piano per l’idrogeno tedesco, investimenti alle Regioni e ai Comuni per impianti di distribuzione dell’idrogeno per incentivarne la domanda. La strategia cita, sempre usando il condizionale, solo “L’autostrada A 22 Modena Brennero potrebbe essere per esempio uno dei possibili punti di partenza per l’installazione di stazioni di rifornimento” e solo per i camion a celle, non per le automobili. E in Italia esiste attualmente per l’automotive un unico impianto di distribuzione di idrogeno a Bolzano: come si incentiva così la domanda?   14. NON E’ PREVISTA l’istituzione di un Green Label.   Non è prevista l’istituzione di un Green Label per prodotti fatti con idrogeno verde, per stimolare la domanda di idrogeno e produzioni fatte con energia green. Sarebbe sicuramente un incentivo al consumo di prodotti green per stimolare anche le aziende di produrre in modo sostenibile. Molte aziende pubblicizzano già linee di prodotti fatti in modo sostenibile: lo Stato dovrebbe solo regolamentare tale marchio green e controllare l’effettiva sostenibilità dichiarata dalle aziende. E promuovere con campagne attive l’adozione di tale label e orientare i consumi verso i prodotti certificati green.   15. NON SONO PREVISTI incentivi alla costituzione di Hydrogen Valley   Non sono previste, se non marginalmente, incentivi alla costituzione di Hydrogen Valleys e Comunità energetiche gestiti dagli enti locali e dai cittadini. La produzione dell’idrogeno verde avverrà nelle “hydrogen valleys”. In questo contesto è completamente ignorata la creazione, lo sviluppo e la diffusione territoriale delle reti di Comunità energetiche. Lo stoccaggio di idrogeno alimentata da fotovoltaico ed eolico è parte essenziale di questo sistema energetico di autoproduzione e consumo decentrato e costituisce fonte di energia a disposizione per ovviare alla discontinuità di sole e vento e per essere utilizzata in quegli impieghi e in quei luoghi che oggi fanno ricorso a energia fossile. Nello scenario ipotizzato è ignorato il modello delle comunità energetiche che, se adeguatamente programmato, incentivato e sostenuto, sarebbe invece il fattore importante per l’ambientalizzazione e lotta al cambiamento climatico nei territori e nello stesso tempo espressione di governo partecipato e diffuso della transizione energetica e di gestione dell’energia verde e delle nuove forme di occupazione. Di conseguenza viene ignorato il ruolo degli enti locali, comuni, città metropolitane e regioni come soggetti portatori delle istanze e degli interessi delle comunità territoriali. Ci sono già alcune significative esperienze e progetti in Italia, come il progetto di Hydrogen Valley del Porto di Civitavecchia (non citato nella Strategia). Le “hydrogen valleys”, ecosistemi che includono sia la produzione che il consumo di idrogeno, potranno inoltre fornire aree per la diffusione dell’idrogeno entro il 2030 portando a una possibile applicazione dell’idrogeno in altri settori. Così potrebbero essere decarbonizzati diverse realtà portuali, come Brindisi, La Spezia, Fusina, Mestre, Manfredonia, Gela, attualmente con grossi impianti inquinanti e vaste aree industriali spesso dismesse e occupazione in crisi. Ciò favorirebbe anche la bonifiche di queste aree, spesso coincidenti con i SIN (Siti di Interesse Nazionale) e diventare invece la sede non solo della produzione di idrogeno rinnovabile e di impianti fotovoltaici o eolici senza ulteriore consumo di suolo, ma anche centri di distribuzione dell’idrogeno e occasione di occupazione.   16. mancano i finanziamenti per le fonti rinnovabili   Nei 10 miliardi di investimenti in H2 mancano i finanziamenti per le fonti rinnovabili che dovrebbero alimentare la produzione di idrogeno verde, che richiede ulteriore potenza di energia rinnovabile installata. E gli incentivi del bonus e superbonus per il mercato civile non sono ancora collegati alla produzione di idrogeno verde. Questi finanziamenti dovrebbero essere affiancati agli incentivi per le Hydrogen Valleys.   17. POCHI INvestimenti in R&S su idrogeno.   Un miliardo di investimenti in R&S su idrogeno è troppo basso: enti pubblici di ricerca come ENEA e CNR potrebbe progettare elettrolizzatori e nuove tecnologie per l’idrogeno, dai motori alle applicazioni civili, ma anche per ricerca sulle tecnologie di CCS che dovrebbe “compensare” l’idrogeno sporco nei settori “hard-to-abate”. Senza ricerca, non si sviluppa il settoe industriale della produzione, e, perciò, dell’occupazione.   18. L’idrogeno non è economico per gli usi domestici.   L’idrogeno non è economico per gli usi domestici e nelle applicazioni per il riscaldamento residenziale e commerciale: è sicuramente più economico l’elettrico prodotto in modo distribuito con le comunità energetiche locali o comunque con fonti rinnovabili, visti anche gli incentivi attuali su ecobonus e superbonus. Inoltre c’è il problema di trasporto e distribuzione dell’idrogeno, previsto solo in minima parte (al 2%) miscelato con il metano, che resta sempre combustibile fossile che deve essere compensato, perciò da abbandonare nel più breve tempo possibile per rientrare nella riduzione del 55% delle emissioni deliberate dal Consiglio Europeo e per uscire dall’infrazione europea comminata per le troppo alte concentrazioni di particolato nelle aree urbane italiane.   19. decentramento decisionale e il dialogo con le amministrazioni locali.   Manca il decentramento decisionale e il dialogo con le amministrazioni locali, come le Regioni o le Province, che devono valutare l’installazione di nuovi impianti fotovoltaici, e i Comuni, che devono salvaguardare la salute e l’ambiente nei propri territori. E’ evidente che il processo di penetrazione dell’idrogeno nella fase di trasformazione del sistema energetico con la gestione del ciclo di produzione, trasporto, stoccaggio e utilizzazione è affidato nelle mani dei soliti grandi gruppi energetici, tra cui Eni, Enel, Snam, e a loro favore verranno convogliati i finanziamenti europei. Sotto questa luce, che evidenzia un disegno di gestione accentrata del processo di sviluppo della strategia idrogeno, ci rendiamo conto perciò come le osservazioni molto pertinenti considerate nei punti finali da 9 a 20 non ottengano risposta. Tutti gli incentivi della domanda di idrogeno e dell’impiantistica devono passare necessariamente dal livello amministrativo locale per garantire una reale ricaduta occupazionale e produttiva sul territorio e deve incontrare le variegate esigenze locali, anche in termini di vocazione dei territori nella scelta delle diverse fonti rinnovabili e ubicazione di impianti ed ecosistemi a idrogeno.     20. finanziamento sulla Formazione dei tecnici dell’idrogeno   Manca qualsiasi riferimento al finanziamento sulla Formazione in tutti i settori che riguardano l’idrogeno: la Strategia prevede oltre ~200k posti di lavoro temporanei creati nella fase di costruzione e fino a ~10k di posti di lavoro fissi sul medio periodo: devono essere previsti corsi di formazione  a livello di  scuole o università, la riqualificazione professionale di tecnici e operai per la produzione degli elettrolizzatori, della installazione e manutenzione degli impianti, del controllo degli impianti. La formazione e qualificazione di competenze professionali è imprescindibile per garantire una “ricaduta occupazionale” di tutto il comparto.     OGGETTO DELLE OSSERVAZIONI nello specifico IN TERMINI CLIMATICI E DI DECARBONIZZAZIONE NELL’USO DEL METANO PER LA PRODUZIONE DI IDROGENO    
Fatti notori e situazioni di fatto climatiche omesse dalla presente strategia Com’è noto, il gas (metano) a) non solo è rubricato legalmente come sostanza “pericolosa”, “climalterante” e “ambientalmente dannosa” e “in via di abbandono”, b) ma anche è valutato prognosticamente dalla scienzacome una minaccia sul “Global Potential Warming”, rispetto al “Carbon Budget” disponibile e ai fenomeni di “Feedback Loop” e “Tippping Points” in atto a livello globale e locale.   In ragione di tali dati di fatto, la Strategia deve sottostare a tutti gli oneri di prova imposti dalla citata disposizione del Codice civile, anche al fine di scongiurare sul nascere la lesione, probabile e scientificamente fondata, del principio del neminem laedere, dalla Corte costituzionale italiana eretto a fondamento dello Stato costituzionale di diritto (Sent. n. 16/1992, punto. 3 in diritto) e radicato nella tradizione giuridica comune europea con i c.d. PETL (“Principles of European Tort Law”). Altrettanto deve pretendersi dalla valutazione ambientale della PA. Infatti, la Strategia nulla dimostra in merito a: 1) l’utilità ambientale e climatica del nuovo ciclo a gas delle stesse Unità rispetto al “Global Potential Warming” e al “Carbon Budget” disponibile per l’Italia; 2) le provedella migliore scienza sul fatto che il nuovo ciclo a gas contribuisca, per tempi e modi verificabili e scientificamente accertati, al conseguimento degli obiettivi di lotta ai cambiamenti climatici, sottoscritti e formalizzati dallo Stato italiano e dalla UE (parametrati alle scadenze 2030 e 2050); 3) le prove scientifiche che qualsiasi nuovo ciclo a gas renda l’attività già in corso meno pericolosa di quella a carbone, realizzando la condizione, di cui all’art. 2050 Cod. civ., di «aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno» (nella considerazione che il danno è già in atto – a causa del carbone da sostituire -, è climatico e non solo ambientale, non è semplicemente futuro o possibile, data la triplice emergenza ecosistemica, climatica e fossile, denunciata dalla migliore scienza e dichiarata dalla UE e dallo Stato italiano); 4) l’esistenza di eventuali confutazioni scientifiche, fondate su protocolli di ricerca accessibili e standard di autorevolezza conformi alle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale italiana, delle tesi maggioritarie, a livello di letteratura mondiale, riguardanti la dannosità climatica e ambientale di qualsiasi nuovo processo produttivo a gas, a causa della degenerazione dei processi di “Feedback Loop” e “Tipping Points”, innescati dal cambiamento climatico e dal riscaldamento globale della Terra, e del c.d. “Global Potential Warming” rispetto alle metriche e al “Carbon Budget” residuo, concordati dai Governi, compreso quello italiano, nei vari Report (periodici e speciali) dell’IPCC; 5) l’assolvimento, attraverso analisi accertabili di costi e benefici non solo locali ma anche globali, del dovere di precauzione di cui all’art. 3 n. 3 dell’UNFCCC e del conseguente criterio “in dubio pro clima”. Ne consegue che, in assenza di tali 5 riscontri e delle relative coperture di evidenza scientifica, non risulta soddisfatto non solo il parametro dell’art. 2050 Cod. civ., ma anche il parametro di costituzionalità dell’art. 41.2 Cost., nella parte in cui legittima l’iniziativa economica privata purché non in contrasto con la sicurezza, e dell’art. 44.1 Cost., nella parte in cui abilita le attività di sfruttamento del suolo purché “razionali” e dunque conformi a parametri scientificamente verificabili di utilità e sostenibilità rispetto al contesto ecosistemico e climatico, presente e futuro. Già solo per tali palesi lacune istruttorie e di sottrazione all’onere della prova scientifica, la Strategia non è meritevole comunque di accoglimento e va dunque rigettata per illegittimità costituzionale, illogicità manifesta (nella misura in cui assume come “uso razionale” l’utilizzo di una risorsa – il gas – dalla migliore scienza, senza confutazione del proponente, ritenuto dannoso sul sistema climatico e sul “Global Potential Warming”) ed erronea valutazione dei fatti (nella misura in cui si attiva una procedura, ignorando di dover rispettare gli oneri di prova nei termini dell’art. 2050 Cod. civ.). I contenuti della Strategia, inoltre, ignorano del tutto il contesto territoriale, locale, nazionale ed europeo, in cui il nuovo ciclo a idrogeno con l’uso del gas dovrebbe inserirsi. Costituiscono veri e propri “fatti notori” la classificazione dell’Italia tra gli “Hot Spots” climatici del Mediterraneo, soggetti a condizioni di vulnerabilità climatica già in corso e già comprovata da studi istituzionali (come ISPRA, ENEA, ISS) e scientifici (come CNR, ASVIS e altri enti di ricerca e Università, a partire dalla Fondazione CMCC). La situazione di vulnerabilità del contesto è confermata anche a livello europeo dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, per la quale gli attuali obiettivi di lotta al cambiamento climatico non sono per nulla sufficienti a scongiurare che le condizioni degli “Hot Spots” climatici migliorino (SOER  2020). Di conseguenza, la Procedura nulla dice, spiega e dimostra, su base scientifica, quale utilità il nuovo ciclo a gas dovrebbe garantire rispetto al parametro della “sicurezza” indicato dall’art. 41.1 Cost., nella specifica espressione fattuale della “sicurezza climatica” presente e futura. Con tali lacune, la Strategia si presenta contraddistinto dalla totale indifferenza verso il parametro costituzionale della “sicurezza” (climatica, nello specifico), richiesto dall’art. 41.1 Cost. Anche per questo, esso è viziato da illogicità manifesta ed erronea (per omissione) valutazione dei fatti (necessaria ai fini di verificare la “sicurezza” dell’iniziativa economica indicata dalla Procedura).   Inquadramento del contesto fattuale:  la triplice emergenza ecosistemica, climatica e fossile, ignorata dalla strategia   Del resto, la Strategia ignora pure la circostanza, formale e non solo di fatto, che tanto l’Unione europea, quanto l’Italia, abbiano ufficialmente dichiarato la “emergenza climatica e ambientale” (i documenti sono pubblici e di facile reperimento, in ogni caso si consulti www.emergenzaclimatica.it). La dichiarazione formale di “emergenza climatica” è tutt’altro che priva di rilievo giuridico. Essa, infatti, integra, in primo luogo, i parametri di proporzionalità e razionalità delle decisioni pubbliche. Inoltre, la dichiarazione di emergenza climatica si collega anche a specifici parametri legali e scientifici, abilitati dall’UNFCCC (nello specifico, dal Preambolo e dagli artt. 1, 2, 3 e 6, nella conformità ai canoni di cui alla Convenzione di Vienna sulla interpretazione dei Trattati). A tal fine, conviene partire da due constatazioni. La prima riguarda il cambio di qualificazione giuridica dei fenomeni del cambiamento climatico e del riscaldamento globale, contenuto nella Decisione n. 1/CP21-2015 dell’UNFCCC. In essa, infatti, i due fenomeni, nell’originario testo della Convenzione rubricati come “influenza negativa” sugli esseri umani e gli ecosistemi, sono stati innalzati a livello di “minaccia urgente e potenzialmente irreversibile” per gli stessi. Di conseguenza, ed è la seconda constatazione, i due fenomeni identificano ora una situazione di fatto di esposizione involontaria a tale “minaccia” sia dell’umanità che degli ecosistemi, per di più “urgente” e “potenzialmente irreversibile”[8]. Se la prima constatazione contiene una nuova definizione giuridica dei due fenomeni (si tratta ormai di “minacce”), la seconda ne offre una rappresentazione di fatto nel rapporto con la condizione umana (si tratta di “esposizione involontaria” a tali “minacce”). La conclusione è definitiva ed è condivisa da una letteratura internazionale, scientifica e istituzionale, sterminata. L’ “esposizione involontaria” si manifesta in due modi: – come incidenza su tutti i determinanti (fisici, psichici e ambientali) della salute umana (in una dimensione qualificata “One Health”)[9]; – come condizionamento della libertà di stili di vita di ciascun singolo individuo[10]. Pertanto, un’attività pericolosa, ai sensi dell’art. 2050 Cod. civ., come quella cui si riferisce la Procedura in valutazione, investe direttamente i diritti fondamentali e umani della persona. Del resto, questo nesso di tutela è stato ufficializzato dall’ONU sin dal 2009, con il Report of the Office of the United Nations High Commissioner for Human Rights on the relationship between climate change and human rights (A/HRC/10/61, 15 January 2009), e reso definitivo nel 2019, con il Joint Statement on human rights and climate change. Le dichiarazioni di emergenza climatica, pertanto, non possono non essere lette nel quadro delle dichiarazioni ufficiali dell’UNFCCC sulla situazione di “minaccia” “urgente e irreversibile”, rappresentata dal cambiamento climatico e dal riscaldamento globale, e delle acquisizioni dell’ONU sui diritti. Diversamente opinando si viola palesemente qualsiasi canone di ermeneutica costituzionale. Tra l’altro la “minaccia urgente e irreversibile”, con i suoi riflessi negativi sui diritti delle persone e gli ecosistemi, è confermata dalla migliore scienza. Infatti, proprio la migliore scienza parla di emergenza ecosistemica[11] e climatica[12], aggravata dall’urgenza del necessario rapido abbandono di qualsiasi opzione di transizione energetica ancora fossile, a partire dal metano[13], perché non risolutiva degli obiettivi di contenimento del riscaldamento globale, fissati dall’Accordo di Parigi del 2015[14]. In tal senso, si deve parlare di emergenza triplice. è la prima volta che succede nella storia. Si tratta di una emergenza globale e locale al tempo stesso, irreversibile e anch’essa scientificamente certa, che contribuisce ad aggravare e accelerare i meccanismi di “Feedback Loop” del sistema climatico e rendere sempre più vicini quegli esiti catastrofici, classificati dal V Report del Panel intergovernativo ONU sul cambiamento climatico (IPCC-AR5 2013-14) come “Tipping Points” del sistema Terra: soglie critiche di irreversibilità, raggiunte le quali si originano effetti rapidi e significativi di sconvolgimento dell’anello di azioni, retroazioni e interazioni tra mutamenti ecosistemici, accelerazione nelle emissioni di gas serra, conseguente aumento della temperatura terrestre, autoriscaldamento fuori controllo, peggioramento delle condizioni di vita degli esseri viventi (compresi gli umani). Giova, in proposito, richiamare almeno tre studi, dai contenuti allarmanti e nel contempo significativi per le loro implicazioni ai fini della presente valutazione. α] Il primo è quello che ha accertato il raggiungimento di nove degli undici “Tipping Points” individuati dall’IPCC. In esso, si parla di “minaccia esistenziale” per la civiltà umana (ancora una volta una “minaccia”), non compensabile da alcuna analisi costi-benefici di carattere esclusivamente economico o energetico, e vincolata, come via di uscita, al dovere di agire senza esitazioni e in tutti i modi utili a mantenere la temperatura entro 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali per il 2030[15]. Questo studio consegna l’accertamento di un “dovere di azione” e di “astensione” in funzione di tempi stretti di adempimento climatico (2030), incombente su Stati e operatori economici, a maggior ragione in capo a chi già svolge attività ambientalmente e climaticamente dannosa ai sensi dell’art. 2050 Cod. civ. Il secondo studio riguarda lo stato delle migliori conoscenze scientifiche disponibili sulle previsioni future di rischio nei diversi scenari di aumento delle temperature e quindi di aggravamento della “minaccia”. La rassegna espone ipotesi solo peggiorative, a partire dal periodo 2030-2050, secondo la seguente scansione: temperature > 1,5°C, scenario pericoloso; temperature > 3°C, scenario catastrofico; temperature > 5°C, scenario sconosciuto[16]. Questo dato è rilevante sul fronte dell’applicazione concreta, da parte di tutti i decisori istituzionali e privati, del principio di precauzione nella formula “in dubio pro clima”, indicato dall’art. 3 n. 3 dell’UNFCCC, e spiega che, su tutti gli operatori pubblici e privati, incombono doveri di sopravvivenza, non negoziabili né bilanciabili con interessi che non assumano la stabilità climatica e la lotta al “Global Potential Warming” come priorità. Il che significa, in sintesi, quanto segue: a) se la conversione a gas de non ostacola il (quindi contribuisce al) superamento della temperatura > 1,5°C al 2030/2050, essa, ai sensi dell’art. 2050 Cod. civ., consuma un fatto illecito (concorso in produzione di uno scenario accertato come “pericoloso” dalla migliore scienza); b) se tale conversione a gas non ostacola il (quindi contribuisce al) superamento della temperatura > 3°C al 2030,/2050, la consumazione del suddetto fatto illecito risiede nello scenario accertato dalla migliore scienza come “catastrofico”; c) se il superamento è addirittura > 5°C, non si sa cos’altro di peggio possa verificarsi con il “Global Potential Warming”. γ] Il terzo studio è della Banca dei Regolamenti Internazionali ed è intitolato “The Green Swan”[17]: di fatto chiude il cerchio delle acquisizioni dei due studi precedenti. In esso, infatti, si constata come l‘emergenza ecosistemica, climatica e fossile abbia imposto una sferzata inedita alla variabile temporale delle previsioni di rischio e alle comparazioni costi/benefici. Tale sferzata è denominata “Tragedy of Horizon”: abbiamo poco tempo per decidere in modo risolutivo (obiettivi al 2030 per il 2050), perché la variabile temporale è sfuggita di mano, non è più controllabile. La constatazione è drammatica: essa alimenta fondati e comprovati dubbi sulla effettiva utilità economica, sociale e ambientale di azioni, opere e infrastrutture, progettate e pensate per tempi “normali”, ossia sulla base di analisi costi/benefici di carattere esclusivamente economico ed energetico (del tutto insufficienti, come accerta il citato studio sui “Tipping Points”) e con previsioni di rischio proiettate su scenari temporali immaginati statici e immutabili o di lungo periodo, quando invece ormai sono in irreversibile trasformazione e peggiorativi sin dal breve periodo (come riconosce lo studio sugli scenari di aumento della temperatura al 2030). La “tragedia dell’orizzonte” temporale sottopone le strategie a precoci obsolescenze di pianificazione (come sta succedendo per il PNIEC italiano, “nato vecchio” nei suoi obiettivi di riduzione delle emissioni rispetto agli indirizzi europei sulla riforma del Reg. UE 1999/2018 e alle urgenze emerse dalle indagini scientifiche sugli scenari futuri, dal citato SOER 2020). La tradizionale logica progettuale, fondata sul quadrinomio previsione-pianificazione-azione-esecuzione, ne esce disorientata e spiazzata: essa non controlla più la variabile temporale, soprattutto se non tiene conto della triplice emergenza ecosistemica, climatica e fossile. Giova osservare che tale triplice emergenza ecosistemica, climatica e fossile non ha nulla in comune con le emergenze “ambientali”. Infatti, queste ultime sono fondate su quattro caratteristiche: a) sono eventi temporanei (il concetto giuridico di “urgenza” nasce da tale rappresentazione della realtà); b) non sono prevedibili; c) non sono imputabili esclusivamente all’azione umana (altrimenti sarebbero classificate come “condotte illecite”); d) non sono trasformative della convivenza umana (dopo l’emergenza, si ritorna alla situazione “normale” precedente). L’emergenza ecosistemica, climatica e fossile purtroppo è altro. Quest’ultima: a) piuttosto che un evento temporaneo, è un insieme di processi planetari critici irreversibili e peggiorativi (si pensi ancora una volta ai “Tipping Points”): b) piuttosto che “imprevedibile”, è stata preannunciata in vario modo da oltre un secolo (basterebbe ripercorrere gli studi di Eunice Foote, John Tyndall, Svante Arrhenius, William Stanley Jevons, John Herschel, Rudolf Clausius, Nikola Tesla, Giacomo Ciamician, Guy Stewart Callendar, Barry Commoner, Wallace S. Broecker); c) piuttosto che non imputabile all’azione umana, risulta esclusivamente antropogenica, dato che il margine di incertezza scientifica sulla “minaccia urgente” è inconsistente, in ragione della quantità di studi che ne confermano: – le ipotesi scientifiche[18], – il consenso sul lavoro svolto dall’IPCC[19], – l’osservazione validante degli scenari ipotizzati[20], – l’emersione empirica dei fatti previsti[21], – la robustezza delle probabilità statistiche[22]; d) invece che non trasformativa, è l’esatto opposto e in forma peggiorativa, nei termini sintetizzati dalla citata immagine del “Green Swan” e dai “Tipping Points” (il dopo-emergenza – se mai si conseguirà – sarà comunque peggio del presente). Dal punto di vista legale, di questa triplice emergenza sono soddisfatti tutti i più rigorosi scrutini giuridici di c.d. “sussunzione” sotto leggi scientifiche. In altri termini, sulla fondatezza, scientifica e statistica, della “minaccia urgente e potenzialmente irreversibile”: a) si è dentro la condizione del “più probabile che non” b) e persino dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”.   L’omissione dolosa della considerazione del metano come minaccia sul “Global Potential Warming” e sul “Carbon Budget” Nonostante questo panorama mondiale della scienza, formalizzato da plurime istituzionali dichiarazioni di emergenza climatica e ambientale, la Strategiasi presenta come se “nulla fosse”, dentro un presunto, ma non dimostrato scientificamente, quadro di “normalità” della realtà ecosistemica, climatica e fossile italiana, europea e planetaria, preoccupato solo di settoriali impatti ambientali e di prospettive esclusivamente economiche ed energetiche. In quanto tale, essa è lacunosa, quindi illegittima e quindi in nessun modo ammissibile. In più, la Strategia propone una conversione di impianti a idrogeno grigio fossile con altro fossile,l’idrogeno da metano compensato, dolosamente ignorando tutte le acquisizioni della migliore scienza sul metano e la sua natura di “minaccia” rispetto alle metriche temporali del “Global Potential Warming” al 2030/2050 e del “Carbon Budget” residuo per l’Italia. In effetti, la letteratura della migliore scienza su questi temi è talmente vasta, da poter essere sintetizzata solo nei suoi passaggi essenziali, che a breve si riporteranno. Infatti, preliminarmente si potrebbe obiettare – con una buona dose di formalismo – che la Strategia risulterebbe “coerente” al PNIEC italiano. Tuttavia, il PNIEC è “nato vecchio”, come riconosciuto in forma confessoria e di dichiarazione ambientale proprio dallo stesso Ministro dell’ambiente Sergio Costa[23]. Infatti, tale sua precoce obsolescenza deriva dalla non conformità con i nuovi obiettivi UE, introdotti con la riforma (in corso) del Reg. UE 1999/2018. Inoltre, il PNIEC equivoca del tutto il concetto di “efficienza energetica”, parametrandola economicisticamente solo al fabbisogno di consumo, quando invece l’efficienza energetica è ormai parametrata alla sua sostenibilità rispetto agli obblighi di mitigazione climatica delle politiche statali ed europee (come richiesto dal SOER 2020). Non a caso, la UE ha osservato l’assenza di un approccio tridimensionale di “Climate Change and Environmental Degradation”, focalizzato sulla congiunta valutazione 1) climate change, 2) air pollution and 3) loss of ecosystem goods, resources and services[24]. Da questo enorme equivoco nasce il favor – privo di qualsiasi fondamento scientifico perché non più condiviso dalla migliore scienza – per il fossile, quale soluzione al problema del cambiamento climatico, pur essendone causa determinante. Inoltre, se il PNIEC dovesse essere attuato così come scritto, ci vorrebbero 67 anni (invece di 10) per il suo effettivo adempimento[25]. Si spiegano così le promesse al pubblico contraddittorie e concettualmente illogiche e schizofreniche dei rappresentanti del Governo e del PNIEC stesso, ai sensi dell’art. 1989 Cod. civ.: in esse, si riconosce che gli interventi necessari per la crescente decarbonizzazione del sistema richiedono impianti e infrastrutture che possono avere impatti ambientali, ma nulla si dice di tali impatti;in esse si accetta la permanenza di sussidi fossili, dichiaratamente indicati “dannosi all’ambiente”;in esse si riconosce di non aver mai valutato l’utilità climatica di nuove infrastrutture fossili, come i nuovi gasdotti, ma di puntare su tali nuove infrastrutture per lottare contro i cambiamenti climatici;in esse si parla di eliminazione del carbone nella produzione energetica entro il 2025, ma nel contempo si prevede un aumento di utilizzo del gas metano, senza alcuna valutazione comparativa secondo le metriche di CO2 e CH4, pur indicate dall’IPCC e gli studi scientifici sul cosiddetto processo di “Methane Time Bomb” (che andrebbe tematizzato in base al principio di precauzione);in esse si parla di obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti, non contenute nei documenti ufficiali;in esse si dichiarano sia la insufficienza del PNIEC sia la necessità di una sua revisione. Proprio sullo specifico profilo del metano, poi, il PNIEC contiene promesse – rilevanti sempre ai sensi dell’art. 1989 Cod. civ. – del tutto inverosimili e improbabili, alla luce delle acquisizioni scientifiche mondiali. Dal punto di vista scientifico, infatti, è ormai ampiamente superato il dibattito sul fatto che il gas metanosia una fonte utile alla transizione energetica verso le rinnovabili. I motivi sono sia di natura “chimica” che economico-strategica, rispetto proprio allo scenario di triplice “emergenza” in cui versa il pianeta Terra[26]. Da un punto di vista prettamente climatico, tenuto conto di tutto il ciclo produttivo, il metano è veramente di aiuto nel sostituire petrolio e carbone e portarci verso l’era del “rinnovabili al 100%”? Com’è fatto notorio, il metano è un gas serra molto più potente della CO2 specialmente su tempi brevi (quindi proprio rispetto alle metriche temporali dell’IPCC al 2030/2050, che il PNIEC ignora, pur essendo state, tali metriche, approvate dai rappresentanti del Governo italiano): oltre 80 volte nei primi 20 anni dalla sua dispersione in atmosfera (oltre al fatto altrettanto notorio che le cosiddette “perdite” di gas nel ciclo produttivo sono sistematiche e costanti). Lo ammette persino un’analisi di ASPO Italia (Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio), intitolata “Il metano rema contro”[27], citando altresì uno studio della Cornell University, che ha rivisto il peso delle principali cause nel recente aumento delle emissioni di metano. Ebbene, secondo questo studio, i principali responsabili non sarebbero le sorgenti biogeniche, come si credeva fino a poco tempo fa (zone umide, animali, discariche), ma i combustibili fossili. Del resto, da tutta la letteratura scientifica si desumono sempre tre costanti sul metano: si parla spesso di “perdite fuggitive” del metano, quando in realtà tali perdite non sono “fuggitive”, giacché esse rappresentano un modo di funzionare tipico dell’industria estrattiva, di trasporto e di trattamento del gas, che sottovaluta questo problema, per non assumersi costi di controllo – pur possibile – che renderebbero meno competitiva questa risorsa, scaricando sulla comunità gli effetti di climalterazione conseguenti;il Report dell’ottobre 2018 dell’IPCC, pretermesso deliberatamente dal PNIEC, ha, fra le altre analisi, notato che il sistema climatico reagisce più prontamente a riduzioni della componente metano rispetto alla componente CO2, e che tale fenomeno offre dunque la possibilità di avere effetti di mitigazione climatica più rapidi e sicuri, in entrambe le direzioni: il che significa che ridurre CH4 è indispensabile quanto ridurre la CO2, sicché l’aumento di CH4 non è affatto il ponte per la riduzione della CO2 equivalente;le emissioni di metano sono in costante e rapido aumento anche a causa dello stesso processo di riscaldamento globale, a partire dallo scioglimento del Permafrost. Il metano, quindi, non è un “ponte”, ma una “minaccia aggiuntiva”. Esso, di riflesso, andrebbe tematizzato dal PNIEC nell’ambito come minimo del principio di precauzione climatica (“in dubio pro clima”). Il PNIEC, invece, sembra proiettarsi in una realtà indifferente a queste acquisizioni scientifiche, tributando fiducia al fossile CH4 per la soluzione del fossile CO2, per di più senza nulla argomentare né in termini di confutazione scientifica né in termini di rispetto dei principi di precauzione e prevenzione. Ignorando la scienza, il PNIEC mente sui rischi del metano, formulando una promessa al pubblico italiano di soluzione del problema delle emissioni, colposa e omissiva sul fronte dei rischi – scientificamente accertati e più che probabili – di affidamento sul CH4. In definitiva, il quadro del PNIEC, che è pur sempre atto sottoposto ai parametri dell’art. 97 Cost., sfugge alle più banali rappresentazioni della imparzialità (dato il favor esplicito al fossile CH4 pur altrettanto esplicitamente dichiarato rischioso e dannoso per la lotta ai cambiamenti climatici) e del buon andamento (data la volontaria esclusione delle acquisizioni della migliore scienza mondiale sulla inutilità climatica di nuove infrastrutture fossili e sulla necessità di perseguire approcci scientificamente documentati, accessibili e verificabili dal pubblico), oltre che della (in)sostenibilità ambientale ed economica nel medio-lungo periodo (2030/2050 concordato a livello internazionale anche dal Governo italiano). Giova ricordare che tutte queste dichiarazioni/atti del Governo, in quanto rese in sedi pubbliche sia attraverso atti costituzionali, come le risposte al sindacato parlamentare, sia attraverso dichiarazioni di esponenti vincolati al giuramento ex art. 93 Cost., sia attraverso documenti come il PNIEC, costituiscono “informazione ambientale” nei termini ammessi dalla Convenzione di Aarhus, vincolante lo Stato italiano, con gli effetti di cui all’art. 1989 Cod. civ. Ora, la Strategia, nonostante il quadro lacunoso e privo di fondamento scientifico del PNIEC, nulla dice, con prove scientifica verificabili, a sostegno della propria proposta “a gas”. Esso ignora la scienza, consequenzialmente non confuta la scienza, di fatto avalla un PNIEC “nato morto” e scientificamente infondato. Infine, la Strategia ignora le seguenti acquisizioni sulla dimensione biosferica, atmosferico-climatica ed economico-energetica della più volte citata triplice emergenza[28]. La manifestazione biosferica è segnata dai seguenti dati emergenziali. 1) La condizione di “deficit ecologico” dell’intero Pianeta, ovvero l’incapacità di rigenerazione della biosfera rispetto al consumo umano crescente di beni, risorse e servizi ecosistemici, sulla spinta delle emissioni fossili[29] e dell’impronta umana superiore a quella di qualsiasi altro vivente. Dagli albori della civiltà, l’umanità ha causato la perdita dell’83% di tutti i mammiferi selvatici e del 50% delle piante[30]. Inoltre, essa ha contribuito unilateralmente al degrado del suolo[31]. 2) L’avvenuto superamento di tre dei nove “Planetary Boundaries” (precisamente: cambiamenti climatici; riduzione della biodiversità; stravolgimento del ciclo dell’azoto), scientificamente individuati come condizioni di sicurezza della stabilità dell’intera biosfera[32]. 3) Il raggiungimento di nove degli undici “Tipping Points” individuati dall’IPCC (tra cui l’inversione dell’AMOC[33]) costituenti una minaccia esistenziale per la civiltà umana, non compensabile da alcuna analisi costi-benefici perché con l’unica opzione, come misura precauzionale, del mantenimento delle temperature entro 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali e la contestuale riduzione immediata e drastica delle emissioni fossili[34]. 4) La perdita di biodiversità e l’urgenza di promuovere il suo recupero e non solo la sua salvaguardia. L’Open-Ended Working Group on the Post-2020 Global Biodiversity Framework (WG2020) e studi scientifici giungono alla conclusione che, per fermare il declino, evitando i peggiori impatti del cambiamento climatico, si deve proteggere il 30% del Pianeta entro il 2030 e almeno il 10% di questa area, sia terrestre che oceanica, deve essere posto sotto protezione indisponibile, dato che, attualmente, solo il 15% delle terre emerse e il 7% di mari e oceani sono protetti[35]. 5) La c.d. “sesta estinzione di massa”, ipotizzata già intorno alla metà degli anni Novanta del secolo scorso[36], ma resa evidente nel 2011, quando la comparazione tra dati fossili e dati sul sistema di vita esistente ha confermato che gli attuali tassi di estinzione sono più alti del passato[37], con la probabilità che almeno un terzo delle specie animali e vegetali esistenti potrebbe scomparire nell’arco di 50 anni, anche a causa del cambiamento climatico[38]. 6) Il possibile collasso degli ecosistemi nel 2030[39] e il ritorno a condizioni addirittura del Triassico[40]. Le manifestazioni emergenziali atmosferico-climatiche sono le seguenti. 7) Il superamento dei 350 ppm (parti per milione) di CO2 nell’atmosfera, ovvero la “soglia di sicurezza” per evitare rischi irreversibili per il genere umano. Tale soglia fu individuata da James E. Hansen del Goddard Institute for Space Studies della NASA, sulla base delle conoscenze storiche di concentrazione di CO2 nelle ere passate. In meno di 150 anni, sono state raggiunte e superate le 400 ppm, quantità conosciuta solo in tempi precedenti la comparsa della specie umana sulla terra. Per tale motivo, 350 ppm segna la “soglia di salvaguardia della specie umana” sulla terra: aumentando, aumenta l’incertezza della sicurezza umana sulla terra[41]. 8) La dimostrazione, attraverso la c.d. “equazione dell’antropocene”, della preponderanza assoluta dell’azione umana sul cambiamento climatico, (con una intensità temporale e quantitativa superiore a qualsiasi processo naturale)[42] e la definitiva dimostrazione della effettiva esistenza di soglie di irreversibilità del sistema Terra nella sua stabilità climatica[43]. 9) L’imminente esaurimento del “Carbon Budget” globale ancora disponibile come emissioni di CO2 equivalente a livelli non pericolosi, anche perché è stata dimostrata la sottostima delle quantità di anidride carbonica emessa in atmosfera, con la conseguente revisione in peius dei tempi di conseguimento dei livelli potenzialmente catastrofici per l’ambiente e l’umanità[44], che sembrano ormai assestarsi nell’arco di non più di un decennio. 10) La crisi del “Carbon Sink”, ossia la scoperta che le foreste tropicali, anche a causa degli enormi incendi che hanno sconvolto Amazzonia e Australia, stanno riducendo sensibilmente la propria capacità di assorbire CO2 dall’atmosfera, con l’inevitabile accelerazione del processo di surriscaldamento del Pianeta[45]. 11) La possibilità di effetti negativi sconosciuti del riscaldamento globale, alla luce dello scenario di “minaccia” ipotizzato proprio dall’Accordo di Parigi, in caso di aumento della temperatura oltre l’1,5°C[46]. Le manifestazioni emergenziali di carattere economico-energetico si riassumono nelle seguenti evidenze. 12) Il “Climate Breakdown”, ossia l’incidenza dei fenomeni atmosferici estremi (dalle siccità alle alluvioni) sulla stabilità dei sistemi economici, sociali e politici, con connessa disaggregazione delle relazioni tra società e ambiente nella previsione dei costi e dei danni economici e umani, definiti “Feedback” socio politici[47], in vario modo calcolabili, come col sistema DICE[48] del premio Nobel William Nordhaus. 13) Il “Production Gap” evidenziato dall’UNEP, da cui risulta che gli stessi impegni di contenimento delle emissioni da parte degli Stati, a parità di indici di crescita, non sono sufficienti al conseguimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015[49]. 14) Il connesso “Circularity Gap”, ovvero la circostanza che il tasso di circolarità dell’economia mondiale (che misura la percentuale fra l’impiego di materiali derivati o riciclati e totale degli altri) resta molto basso[50]. 15) L’effetto “Win-Lose” delle regole giuridiche di controllo dell’inquinamento, separate da quelle sulla lotta al cambiamento climatico, che mette in discussione gli stratagemmi di bilanciamento adoperati dal diritto per contemperare interessi umani e dinamiche naturali, come dimostrato da Martin Williams[51] con la scoperta della connessione circolare tra inquinamento dell’aria e cambiamento climatico. 16) L’insufficienza delle misure esistenti di “Carbon Tax” al fine di disincentivare attività emissive inquinanti e climalteranti, dato che l‘85% delle emissioni di CO2 è generato da settori diversi dal trasporto su strada, mentre le poche forme di tassazione si concentrano solo su quest’ultimo[52]. 17) La persistenza dei c.d. “sussidi fossili” (o “ambientalmente dannosi”), denunciati persino dal Fondo Monetario Internazionale nel divario tra prezzi praticati, per giustificarli, e ricavi effettivamente ottenuti dalle imprese sussidiate[53]. 18) Il profilarsi di rischi economico finanziari incalcolabili nella loro gravità. Il Report 2020 della Banca dei regolamenti internazionali[54] constata che le analisi tradizionali non possono anticipare con adeguata accuratezza le caratteristiche che avranno i rischi legati all’emergenza climatica: tra questi, il più grave è il c.d. “Cigno verde”, ossia il verificarsi di effetti finanziari con un potenziale estremamente distruttivo, che potrebbero portare a crisi finanziarie sistemiche bisognose di un vero e proprio “Epistemological Break”. Alle medesime conclusioni giunge l’analisi del rischio della Banca J.P. Morgan[55]. 19) Il difficile doppio “disaccoppiamento”, economico-energetico, da una parte, tra crescita del PIL e riduzione delle emissioni (presupposto della prospettiva della “crescita verde”)[56], ed economico-ecosistemico, dall’altra, a causa della produzione di sprechi e di predazione di risorse ecosistemiche[57]. Sul piano energetico, poi, la transizione verso sistemi che contribuiscano alla lotta al cambiamento climatico è messa ulteriormente in crisi dalla c.d. “emergenza metano”. In estrema sintesi, essa risiede in una serie di constatazioni, così di seguito rappresentabili. 20) Gran parte delle emissioni di metano nell’atmosfera è dovuta all’uso dei combustibili fossili, non invece a fenomeni naturali, e la percentuale di tale contributo è maggiore di quanto sia mai stato calcolato prima[58]. 21) Intorno alla utilità climatica del metano sono venute meno tutte le certezze scientifiche sia sul fronte delle emissioni che su quello delle sua proprietà di mitigazione, dato che, mentre la quantità di fughe di CH4 è stata ampiamente studiata, l’entità e i tempi della sua presunta funzione mitigatoria permangono incerti[59]. 22) Si registra una sottostima degli impatti climatici della presunta “soluzione ponte”, sicché l’idea della transizione energetica “dal fossile attraverso il fossile” (“Low Carbon”) appare ormai priva di verosimiglianza scientifica e, da soluzione, si è tradotta in nuovo problema[60]. 23) Il “Global Potential Warming” del metano è sempre più alto, anche a causa dello scioglimento del permafrost, in quanto le maggiori riserve naturali di questo gas fuoriescono come bolle (Methane Bubbles) che esplodono in atmosfera, attivando un processo di c.d. termocarsismo, le cui dimensioni non sono risultate apprezzate in passato e non sono riconducibili alla già nota metanogenesi. 24) La denuncia della “falsa promessa del gas” per la salute del Pianeta è stata resa pubblica[61]. Tutta questa mole di studi scientifici è completamente ignorata dalla Strategia. Né a tale mole di studi, qui tra l’altro sintetizzati in quantità di citazioni, la Strategia propone controprove di natura altrettanto ecosistemica, atmosferico-climatica ed economico-energetica, secondo la logica dell’art. 115 Cod. proc. civ., basate sulla migliore scienza. In definitiva si tratta di una Strategia priva sul nascere di qualsiasi valenza: di strategicità climatica e ambientale, di utilità sociale; di conformità alla migliore scienza; di corrispondenza a interessi pubblici meritevoli di tutela.   Difetto totale di istruttoria nella strategia   Invero, con tutte le lacune scientifiche elencate, la Strategia è viziata sul nascere di difetto assoluto e totale di istruttoria. Ignorare tutto questo consumerebbe a sua volte un abuso di potere, censurabile nelle sedi di competenza, per illogicità manifesta e difetto consequenziale di istruttoria, irrazionalità rispetto alle migliori conoscenze scientifiche disponibili, violazione del criterio “in dubio pro clima”, violazione del diritto europeo (si v., tra le tante, l’Opinione dell’Avv. Gen. J. Kokot in causa C-444/15, nonché cause riunite C-196-197/16).    Illogicità manifesta ed erronea valutazione dei fatti nella strategia con riguardo al “Carbon Budget” residuo italiano   La Strategia nulla dice in merito alla sua compatibilità con il “Carbon Budget” residuale per l’Italia e la finestra temporale del 2030, indicata sia dai 17 SDGs sia dal Report speciale IPCC di ottobre 2018, accolta dall’Italia nella sua adesione agli uni e all’altro. Il “Carbon Budget” è la quantità massima di emissioni di CO2 equivalente, compatibile con la ragionevole possibilità di conseguire determinati obiettivi di mitigazione. Tale strumento è fatto proprio dall’IPCC, con il consenso dei rappresentati degli Stati, compresa l’Italia. Il “Carbon Budget” non coincide con le riserve di combustibili fossili accertate, proprio perché parametrato esclusivamente agli obiettivi climatici, non a quelli energetici né tanto meno a quelli economici. Questo significa che, per garantirsi un qualsiasi “Carbon Budget” nazionale, non si deve ragionare di solo fabbisogno energetico o di potenzialità del mercato dell’energia e di sicurezza energetica, in quanto tale approccio “Marked Oriented” condurrebbe, da un lato, a ignorare gli impatti climatici delle scelte energetiche compiute nonché la mancata considerazione degli obiettivi di neutralità climatica, concordati a livello europeo e internazionale, dall’altro, assecondando l’estrazione fossile in nome di una visione energetica priva di valutazione di impatti climatici, a distorcere il mercato stesso dell’energia, a favore di Asset di ostacolo alla lotta ai cambiamenti climatici, con conseguente effetto di “aiuto di Stato” delle decisioni energetiche nazionali (verso appunto Asset favoriti dallo Stato ancorché dannosi al clima)[62]. Del “Carbon Budget”, però, la Procedura non parla. Eppure di riscontri scientifici per orientarsi sul “Carbon Budget” non mancano. Secondo la letteratura e la discussione scientifica interna all’IPCC, solo per rimanere all’interno della soglia dei 2°C nel secolo in corso – soglia, come si è accennato, già superata dalla UE, per garantire invece quella dell’1,5°C attraverso la revisione del Reg. UE 1999/2018 – le emissioni cumulate di CO2 non dovranno superare le 1.100 Gt. Secondo la IEA, le emissioni che deriverebbero dall’utilizzo delle riserve accertate già al 2012[63] di combustibili fossili – carbone, petrolio e gas – sono pari a 2.860 GtCO2. Ne consegue che, se verranno implementate politiche efficaci per il contenimento delle emissioni al di sotto dello scenario dei 2°C, non potranno essere estratti dal sottosuolo combustibili fossili pari ad almeno il 60% delle emissioni potenziali. In merito, una ricerca pubblicata su Nature[64] calcola che metà delle riserve di gas dovrebbero rimanere inutilizzate solo per garantirsi il conseguimento del target dei +2°C. Ma uno studio più recente ha calcolato che il Budget di carbonio restante per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C sarà esaurito già nel 2028[65]; e questo, nonostante la transizione energetica Low-Carbon stia comunque accelerando, col rischio, dunque, di non centrare comunque l’obiettivo globale dell’Accordo di Parigi. Pertanto, il calcolo del “Carbon Budget” nazionale è fondamentale per garantire che la Procedura in valutazione risulti ragionevole, proporzionato e conforme ai principi di precauzione, prevenzione, correzione alla fonte, “sviluppo sostenibile”, non regressione e per “migliorare anche in futuro” l’ambiente, come richiesto dal Cod. amb., oltre che dai Trattati internazionali e dal criterio “in dubio pro clima”. Diversamente, come purtroppo fa la Strategia, ignorare tutto questo serve ad alleggerire l’impegno per la decarbonizzazione dell’intera economia (non solo del settore energetico) nei prossimi 15 anni, per ritrovarsi poi, dopo il 2030, a inseguire tassi di riduzione ancora più alti di quanto sarebbe stato necessario (quindi un risultato peggiorativo e un conseguente fatto illecito ai sensi dell’art. 2050 Cod. civ.). Tra l’altro, alcuni studi attestano che l’intensità media di carbonio, in rapporto al PIL globale, stia sì calando, ma molto meno di quello che servirebbe per limitare l’aumento delle temperature a +1,5°C[66]. Il che significa che la considerazione del “Carbon Budget” diventerà ineludibile sempre più col passare del tempo. Non a caso, a livello scientifico, si parla ormai di “Speed of Energy Transition”, come recita il Rapporto pubblicato dal Global Future Council on Energy del World Economic Forum[67]. E si parla anche di necessaria valutazione comparativa fra transizione “Coal to Gas” e transizione “Coal to Clean”, dato che l’Italia potrebbe rinunciare del tutto al carbone entro il 2025, senza investire in nuove infrastrutture a gas e puntando su energie rinnovabili, sistemi di accumulo e controllo della domanda.  In tal senso, per esempio, è la posizione dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) sull’uscita dal fossile “in modo sicuro, giusto e sostenibile”, che la Procedura avrebbe come minimo il dovere di considerare[68]. Ma anche su questo, la Strategia in valutazione tace. Quindi, la mancata considerazione del “Carbon Budget” nazionale, nella finestra temporale del 2030 indicato dall’IPCC e dai 17 SDGs ONU, consuma, in capo alla Procedura, una illegittimità anche euro-unitaria inammissibile, per: violazione del principio di “sviluppo sostenibile”, in quanto non si opererebbe in vista del “miglioramento anche futuro” dell’ambiente, pur imposto dal diritto europeo e dal Cod. amb.;illogicità manifesta, giacché la questione della tempistica della transizione energetica è fondamentale sulle decisioni di investimento delle imprese e sulle aspettative di qualità della vita del pubblico. Del resto, in questo quadro lacunoso si spiega la fumosità anche del “Phase out” dal carbone al 2025, di cui parla il PNIEC come unico ambito di decarbonizzazione (ma come carbone e non come carbonio). Una parte consistente delle riduzioni di CO2 e dei risparmi di energia primaria del PNIEC sarebbe appunto fornita dalla chiusura delle centrali a carbone entro il 2025. In realtà, il PNIEC ha sostanzialmente confermato quanto indicato nella Strategia Energetica Nazionale del 2017 (SEN 2017). Tuttavia, il Piano non identifica ancora gli strumenti di implementazione che permettano di raggiungere gli obiettivi fissati, come per esempio il CFP (Carbon Floor Price) e l’EPS (Emission Performance Standard), onde permettere di introdurre segnali di prezzo e scadenze normative coerenti con la programmazione della chiusura delle centrali a carbone. Né la Strategia chiarisce qualcosa in merito. Tuttavia, la Strategia non può operare in un campo “Law free”. Esso deve tener conto di tutti i dati scientifici indicati, perché così presupposto da vari articoli del Cod. amb., a partire da a) il già citato “principio dello sviluppo sostenibile“, di cui all’art. 3-quater (dove, tra l’altro, si impone che l’azione ambientale di qualsiasi ente – compreso il privato – si traduca anche in doveri di solidarietà – radicati nell’art. 2 Cost. – “per salvaguardare e per migliorare la qualità dell’ambiente anche futuro” [enfasi ns.]; b) l’art. 2 (finalità delle azioni per il “miglioramento delle condizione dell’ambiente e l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali” [enfasi ns.]; c) l’art. 3-bis (diretto riferimento alla “attuazione degli articoli 2, 3, 9, 32, 41, 42 e 44, 117 commi 1 e 3 della Costituzione”, anche per gli atti “di indirizzo” … “purché sia comunque sempre garantito il rispetto del diritto europeo, degli obblighi internazionali e delle competenze delle Regioni e degli enti locali” [enfasi ns.]; d) l’art. 4 n. 3 (compatibilità con “le condizioni per uno sviluppo sostenibile“, nel “rispetto della capacità rigenerativa degli ecosistemi”, per la “equa distribuzione dei vantaggi connessi all’attività economica”, con la “valutazione preventiva integrata … di informazione ambientale” [enfasi ns.]; e) l’art. 4 n. 4 (l’approvazione dei piani deve operare “assicurando che siano coerenti e contribuiscano alle condizioni di uno sviluppo sostenibile” [enfasi ns.]; f) l’art. 5 (definizione delle “emissioni” anche da “fonti diffuse” e richiamo generale alla “normativa vigente in materia ambientale”, compresa quella di “di qualità ambientale”); g) l’art. 6 (nella parte in cui la valutazione ambientale strategica parla di “possibilità” di “impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale”, in tutti i settori, compreso quello energetico); h) l’art. 268 (nella parte in cui anche la tutela dell’atmosfera è perseguita in via preventiva per non “ledere o … costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente” oppure non “ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell’ambiente“). Tale quadro di obblighi giuridici in capo a qualsiasi operatore pubblico o privato si traduce in un triplice assetto di doveri, di cui la Procedura avrebbe dovuto dare conto: di protezione dei diritti delle persone;di miglioramento anche futuro dell’ambiente;di effettiva valutazione comparativa delle soluzioni alternative non solo semplicemente praticabili ma soprattutto necessarie al miglioramento presente e futuro dell’ambiente, proprio perché si tratta di una valutazione su cui comparare scelte estese, in modo contestuale, tanto alla dimensione propria dei singoli settori di riferimento (nel caso di specie energetico ma anche climatico quindi ecosistemico) quanto a quella della precauzione climatica e dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015. Ma anche su questo fronte, si deve riscontrare il NULLA nei contenuti della Strategia.   Impossibilità di alternative fossili nel rispetto del criterio “in dubio pro clima” e del divieto di sostituzione di fatti illeciti con altri fatti illeciti   Proprio alla luce della migliore scienza, non esistono alternative “fossile/fossile” (“Coal to gas”), che risultino conformi al criterio “in dubio pro clima” e al divieto di sostituzione di fatti illeciti con altri fatti illeciti. Per uscire da questo circolo vizioso, l’unica alternativa con i migliori vantaggi climatici locali e globali è quella del definitivo “fuori del fossile” (“Coal to clean”). Eppure, dal combinato disposto degli articoli citati del Cod. amb. con la Convenzione di Aarhus del 1998 e con l’art. 3 n. 3 dell’UNFCCC, entrambe operanti nel contesto delle fonti del diritto italiano nella funzione di lex specialis abilitata dall’art. 117.1 Cost., si desume a quali doveri la Procedura avrebbe dovuto sottostare, per risultare come minimo “presentabile” e “ammissibile” ai fini della valutazione ambientale, oltre che per adempimento dell’art. 2050 Cod. civ. Basta leggere, per tutti, l’art. 3 n. 3 dell’UNFCCC. Conviene riportarne il contenuto: «Le Parti devono adottare misure precauzionali per rilevare in anticipo, prevenire o ridurre al minimo le cause del cambiamento climatico e per mitigarne gli effetti negativi. Qualora esistano rischi di danni gravi o irreversibili, la mancanza di un’assoluta certezza scientifica non deve essere addotta come pretesto per rinviare l’adozione di tali misure, tenendo presente che le politiche e i provvedimenti necessari per far fronte al cambiamento climatico devono essere il più possibile efficaci in rapporto ai costi, in modo da garantire vantaggi mondiali al più basso costo possibile». Si tratta di una disposizione immediatamente vincolante, in quanto scandisce: a) un dovere positivo tassativamente riferito al cambiamento climatico antropogenico, non al generico ambiente; b) da adempiere attraverso il triplice metodo della rilevazione anticipata, della prevenzione e della riduzione delle cause (non degli effetti) del fenomeno; c) finalizzato a garantire “vantaggi mondiali al più basso costo possibile”; d) non rinviabile con il “pretesto” della incertezza scientifica; e) anche perché tale incertezza, come indicato nel Preambolo sempre dell’UNFCCC, è riferibile alle manifestazioni temporali e grandezze regionali del fenomeno, non all’imputazione umana; f) incombente su tutti i soggetti pubblici e privati climalteranti, quindi anche alle imprese rientranti nelle attività di cui all’art. 2050 Cod. civ., anche perché, com’è noto, le azioni climalteranti antropogeniche derivano in stragrande maggioranza da attività di produzione o scambio di beni e servizi nel significato degli artt. 2082 e 2135 Cod. civ., ossia da fattispecie di impresa pubblica o privata (produzione di energia; agricoltura e sfruttamento del territorio; industria; trasporti). Qui, il dovere, al quale la Strategia si è sottratto, è scandito chiaramente: lo si può sintetizzare nella formula, avallata autorevolmente dall’IBA, “in dubio pro clima”[69]. Incombe su tutti, quindi anche sugli operatori climalteranti ai sensi dell’UNFCCC, del Cod amb. e dell’art. 2050 Cod. civ.: – una prestazione positiva di risultato (garantire “vantaggi mondiali”), non solo di mezzi; – a discrezionalità prefissata nel quomodo (rilevare in anticipo, prevenire o ridurre al minino) e nell’an (senza alcun “pretesto” di rinvio e senza eludere la conoscenza scientifica, anche quando incerta), rivolto al sistema Terra e non a un referente territoriale specifico (dato che si parla di vantaggi “mondiali”); – una prova fondata sulla “migliore” scienza. La precauzione climatica “in dubio pro clima” praticamente ci dice che si deve agire per un dovere planetario di salvezza (tra l’altro, conforme all’art. 2 Cost. it.), non per convenienza contingente né tantomeno per interesse privato, ragionando in favore della stabilità climatica, non invece prescindendone, sulla base della scienza. In questo risiede la profonda differenza dal generico “principio di precauzione”. Quest’ultimo non è sinonimo né di tutela dei diritti delle persone e delle loro libertà né, soprattutto, è sinonimo di salvezza dell’intero sistema Terra nella stabilità climatica: la precauzione climatica, si. La lex specialis della precauzione climatica si apre alla condivisione cosmopolitica di una serie di doveri basati sulla scienza. Tutto questo è deliberatamente ignorato dalla Strategia, che non fornisce alcuna “alternativa” al gas (assunto come “alternativa” al carbone), costringendo il pubblico a dover ulteriormente subire climalterazione fossile e quindi aggravamento della “minaccia” già “urgente” e “irreversibile”, in elusione dell’art. 2050 Cod. civ. e dell’art. 3 n. 3 UNFCCC.        

20 dicembre 2020

In nome e per conto dei  dichiaranti

Prof. Avv. Michele Carducci

firmaCarducci

I Sottoscritti dichiarano di essere consapevoli che, ai sensi dell’art. 24, comma 7 e dell’art.19 comma 13, del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i., le presenti osservazioni e gli eventuali allegati tecnici saranno pubblicati sul Portale del MISE.


[1] «Recognizing that climate change represents an urgent and potentially irreversible threat to human societies and the Planet […]»

[2] World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice, 67 BioScience, 12, 2017, 1026-1028, sottoscritto da oltre 10.000 scienziati di tutto il mondo.

[3] https://unfccc.int/news/fossil-fuels-are-biggest-part-of-global-ecological-footprint

[4] World Scientists’ Warning of a Climate Emergency, 70 BioScience, 1, 2020, 8-12, sottoscritto da oltre 10.000 scienziati di tutto il mondo

[5] Methane Emergency: https://www.scientistswarning.org/wiki/methane-emergency/, condiviso dalla migliore autorevole produzione scientifica mondiale.

[6] cfr. https://globaljustice.yale.edu/oslo-principles-global-climate-change-obligations; https://climateprinciplesforenterprises.org/; https://www.ibanet.org/Climate-Change-Model-Statute.aspx

[7] https://www.eca.europa.eu/Lists/ECADocuments/SR18_24/SR_CCS_IT.pdf

[8] Gartin et al. Climate Change as an Involuntary Exposure, 17 International Journal of Environmental Research and Public Health, 1894, 2020, 2-17.

[9] Al-Delaimy et al. Health of People, Health of Planet and Our Responsibility, Cham, Routledge, 2020.

[10] Friel Climate Change and the People’s Health: the Need to Exit the Consumptagenic System, 395 The Lancet, 2020, 666-668.

[11] World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice, 67 BioScience, 12, 2017, 1026-1028.

[12] World Scientists’ Warning of a Climate Emergency, 70 BioScience, 1, 2020, 8-12.

[13] Methane Emergency: https://www.scientistswarning.org/wiki/methane-emergency/

[14] Rockström et al. A Roadmap for Rapid Decarbonization, 335 Science, 6331, 2017, 1269-1271.

[15] Lenton et al. Climate Tipping Points: too risky to bet against, 757 Nature, 2019, 592-595.

[16] Xu et al. Well below 2°C: Mitigation Strategies for Avoiding Dangerous to Catastrophic Climate Changes, 114 PNAS, 2017, 10315-10323.

[17] Bolton et al. The Green Swan. Central Banking and Financial Stability in the Age of Climate Change, Basel, 2020.

[18] Powell The Consensus on Anthropogenic Global Warming Matters, 36 Bulletin of Science, Technology & Society, 3, 2016, 157-163.

[19] Cook et al. Consensus on Consensus: a Synthesis of Consensus Estimates on Human-Caused Global Warming, 11 Environmental Research Letters, 4, 2016, 1-8.

[20] Santer et al. Human Influence on the Seasonal Cycle of Tropospheric Temperature, 361 Science, 6399, 2018, 1-11.

[21] AMS Explaining Extreme Events from a Climate Perspective (Report 2018)

[22] Santer et al. Celebrating the Anniversary of Three Key Events in Climate Change Science, 9 Nature Clim. Ch., 2019, 180-182; Hall at al. Progressing Emergent Constraints on Future Climate Change, 9 Nature Clim. Ch., 2019, 269-278.

[23] https://www.minambiente.it/comunicati/ambiente-costa-il-piano-nazionale-integrato-energia-e-clima-pniec-va-aggiornato-e, nonché “Il ministro Costa: “Entro il 2030 il 55% in meno di emissioni fossili. E servirà un nuovo piano energetico nazionale” (https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/06/25/decarbonizzazione-il-ministro-costa-entro-il-2030-il-55-in-meno-di-emissioni-fossili-e-servira-un-nuovo-piano-energetico-nazionale/5847804/)

[24] https://ec.europa.eu/knowledge4policy/foresight/topic/climate-change-environmental-degradation_en

[25] http://www.free-energia.it/2020/05/oltre-mezzo-secolo-67-anni-realizzare-pniec-free-propone-nei-fatti-serie-norme-costo-zero-far-ripartire-paese-le-rinnovabili-lefficienza-energetica/

[26] Cfr., tra gli innumerevoli e tra i più recenti, Traber, Fell Natural Gas Makes No Contribution to Climate Protection, Berlin, EWG, 2019.

[27] https://www.aspoitalia.it/

[28] Tre delle quali già richiamate in precedenza.

[29] Cfr. https://unfccc.int/news/fossil-fuels-are-biggest-part-of-global-ecological-footprint

[30] Bar-On et al. The Biomass Distribution on Earth, 115 PNAS, 2018, 6506-6511.

[31] Willemen et al. How to halt the Global Decline of Lands, 3 Nature Sustain., 2020, 164-166.

[32] Rockström et al. A Safe Operating Space for Humanity, 461 Nature, 2009, 472–475.

[33] Castellana et al. Transition Probabilities of Noise-induced Transitions of the Atlantic Ocean Circulation, 9 Sc. Reports, 2019, 20284.

[34] Lenton et al. Climate Tipping Points: too risky to bet against, 757 Nature, 2019, 592-595.

[35] Dinerstein et al. A Global Deal For Nature, 5 Sc. Advances, 4, 2019, 1-17.

[36] Leakey et al. The Sixth Extinction : Patterns of Life and the Future of Humankind, New York, 1995.

[37] Barnosky et al. Has the Earth’s Sixth Mass Extinction Already Arrived?, 471 Nature, 2011, 51-57.

[38] Román-Palacios et al. Recent Responses to Climate Change reveal the Drivers of Species Extinction and Survival, 117 PNAS 2020, 4211-4217.

[39] Trisos et al. The Projected Timing of abrupt Ecological Disruption from Climate Change, Nature, 2020, 1-12.

[40] Capriolo et al. Deep CO2 in the end-Triassic Central Atlantic Magmatic Province, 11 Nature Comm., 1670, 2020, 1-11.

[41] Il Quotidiano della CO2, anche in italiano (https://it.co2.earth/daily-co2), aggiorna le variazioni di ppm.

[42] Gaffney-Steffen The Anthropocene Equation, 4 The Anthropocene Rev., 1, 2017, 53-61.

[43] Steffen et al. Trajectories of the Earth System in the Anthropocene, 115 PNAS, 2018, 8252-8259.

[44] Rogelj Differences between Carbon Budget estimates unravelled, 6 Nature Clim. Ch., 2016, 245-252.

[45] Issue 7797, Saturation Point, 579 Nature, 2020.

[46] Xu et al. Well below 2°C: Mitigation Strategies for Avoiding Dangerous to Catastrophic Climate Changes, 114 PNAS, 2017, 10315-10323.

[47] Howard-Livermole Sociopolitical Feedbacks and Climate Change, 43 Harvard Envtl L. Rev., 2019, 119-174.

[48] https://sites.google.com/site/williamdnordhaus/dice-rice

[49] https://www.unenvironment.org/resources/report/production-gap-report-2019

[50] Cfr. https://www.circularity-gap.world/2020

[51] Williams Tackling Climate Change: what is the Impact on Air Pollution?, 3 J. Carbon Manag., 5, 2012, 511-519.

[52] OECD Taxing Energy Use 2019. Using Taxes for Climate Action, Paris, 2019.

[53] Coady et al. Global Fossil Fuel Subsidies Remain Large, IMF WP/19/89.

[54] Bolton et al. The Green Swan. Central Banking and Financial Stability in the Age of Climate Change, Basel, 2020.

[55] J.P. Morgan Special Report: Risky Business: the Climate and the Macroeconomy, Economic Research January 14, 2020.

[56] Parrique et al. Il mito della crescita verde, Roma, 2019.

[57] UNEP Decoupling Natural Resource Use and Environmental Impacts from Economic Growth, Paris, 2011.

[58] Hmiel et al. Preindustrial CH Indicates greater Anthropogenic Fossil CH Emissions, 578 Nature, 2020, 409-412.

[59] Klemun et al. Timelines for Mitigating the Methane Impacts of Using Natural Gas for Carbon Dioxide Abatement, 14 Environmental Research Letters, 2019 1-14.

[60] Elder et al. Airborne Mapping Reveals Emergent Power Law of Arctic Methane Emissions, 47 Geophysical Research Letters, 3, 2020.

[61] Landrigan et al. The False Promise of Natural Gas, 382 N. Engl. J. Med., 2020, 104-107.

[62] In tal senso, si v. il Parere del CESE (EESC) sulla giustizia climatica, del 2017, citato nei documenti dell’ultimo paragrafo.

[63] IEA World Energy Outlook 2013.

[64] McGlade, Ekins The Geographical Distribution of Fossil Fuels unused when Limiting Global Warming to 2° C, 517 Nature, 8 Gennaio 2015.

[65] https://www.dnvgl.com/news/the-world-s-energy-demand-will-peak-in-2035-prompting-a-reshaping-of-energy-investment-128751

[66] https://www.qualenergia.it/articoli/e-troppo-lenta-questa-de-carbonizzazione-e-il-cambiamento-climatico-avanza/

[67] https://www.weforum.org/whitepapers/the-speed-of-the-energy-transition

[68] https://www.qualenergia.it/articoli/litalia-via-dal-carbone-ma-con-piu-energie-rinnovabili-e-meno-gas/

[69] Model Statute for Proceedings Challenging Government Failure to Act on Climate Change, 2020.

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